Kim Ki-duk è nato il 20 dicembre 1960 a Bonghwa, Sud Corea. A nove anni si trasferisce a Seul con la sua famiglia, dove frequenta un istituto professionale per l’inserimento nel settore agricolo. A 17 anni viene assunto come operaio in fabbrica ma non vi resta molto; appena ventenne si arruola in marina per un periodo di cinque anni. A quel tempo una crisi religiosa lo coglie, con l’intenzione di diventare predicatore, e nel 1990 si trasferisce a Parigi. Coltiva la sua passione per la pittura e si mantiene vendendo i suoi quadri, avvicinandosi lentamente al cinema. Seppur privo di preparazione accademica, muove i primi passi come sceneggiatore. Nel 1993 il testo di A Painter and a Criminal Condemned to Death gli vale il premio dell’ “Educational Institute of Screenwriting”.

Kim Ki Duk esprime un disegno cinematografico capace di struggere il cuore di grande amore e grande aggressività. I suoi personaggi vivono incapaci di esprimere le loro sensazioni, straziati da una violenza ed un dolore indicibili, immersi in una totale indolenza. Gli sguardi, vivi ed espressivi, danno testimonianza del loro tumulto interiore. La fine di questo ritratto, come perdita di controllo, si esprime attraverso e verso il corpo sublimandolo di piacere sessuale o straziandolo di indifferente dolore fino alla morte, estrema e silenziosa ultima forma di comunicazione. La mente assente, distaccata dalla realtà, è legata ad un’unica speranza, ad un’unica carezza di vita che dal profondo silenzio interiore fugge verso un elemento di salvezza esterno tendendo a lui senza condizioni. Un’anima fuori dal corpo, che vive in terza persona le durezze e le violenze, satura ormai di esse fino all’insensibilità, e le supera con un grande balzo entrando nella dimensione dell’infinito.

Le riprese del maestro sono pervase di una dolcezza dinamica ammaliante: le scenografie e gli attori si muovono come elementi di un quadro. Cambiando più volte l’angolo delle inquadrature, cattura perfettamente gli stati d’animo e i più piccoli atteggiamenti che li esprimono, ponendo l’accento sui momenti più profondi ed importanti con abili (a volte repentini) cambiamenti di piano. Notevole l’uso del primo piano, prolungato con maestria per sottolineare l’enfasi dei volti, e del dettaglio. La musica, presente solo in alcune scene dei film per “accompagnare” discretamente la recitazione, fa da eco ai sentimenti adattandosi ai colori, sempre molto dolci e sottili.

“Il cinema è comunicazione, quella tra me e lo spettatore, quella tra i diversi punti di vista e l’oggettività d’una cosa; un dialogo, che non vuol affatto dire che debba esserci una storia: il mio cinema è un dialogo fatto d’immagini, come per la pittura. Questa è la comunicazione che cerco, ed è anche l’unica che mi senta in grado di offrire in un mondo per il quale non m’ero preparato”.

Kim Ki Duk disegna sulla pellicola le immagini e le emozioni che cattura come il pittore sulla tela. Un unico intenso urlo dal silenzio che esprime la travolgente, a volte dolorosa, emozione del sentimento.

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