Il rapporto con la visività passa su due fronti principali: la pittura e la scultura, entrambi molto cambiati negli ultimi decenni. Vediamo due esempi molto particolari di utilizzo di queste arti. Un utilizzo inusuale e tuttavia molto antico della scultura è come libro. E’ la poesia di Sebastiano Grasso ad offrire il contenuto del volume, ma ciò che è ancora più importante è quel che vi sta intorno.

Arnaldo Pomodoro ha scolpito, per ora solo come prototipo, una forma di scrigno, entro cui racchiudere il libro stesso. Molto pesante, è costruita in bronzo, e la forma contorta, quasi antica, oltre che la lucidità e la pesantezza stessa, lo rendono un contenitore prezioso. La scultura di Pomodoro è quindi forma e anticipazione del contenuto, che come l’illustrazione artigianale accompagna e arricchisce. Anche se non ha grande manegevolezza, il libro d’arte presenta un forte interesse. Questa volta è collegato a ciò che si può definire pittura poetica: la parola diventa oggetto, cosa, ricreando ancora una volta la solidarietà tra diverse forme d’arte.

All’interno dello scrigno, Pomodoro ha anche un lui un volume, “Scatta il tempo”, in cui fa pittura disegnando segni. Il libro d’artista è uno scrigno di perle che inondano di luce, delle molteplici voci e della condivisione di queste voci. Bisognerà guardare con rispetto, da lontano, quest’opera oppure farsi prendere dalla tentazione di toccarla, e mettere in gioco i sensi? Lo spazio è sfondato, la superficie è traumatizzata con paziente violenza, come una narrazione. E’ una vera scultura nata con le parole.

[oblo_image id=”1″]E’ Flavio De Marco il protagonista della pittura. A Ferrara, in Palazzo Massari, è riuscito a fare qualcosa di molto innovativo per gli affreschi Schifanoia, con la mostra Souvenir. Un padiglione del palazzo, occupato da questi, è adibito a opere d’arte contemporanea. In questo caso, l’autore ha dipinto delle finestre. Di Windows. Che, a volte, includono gli stessi dipinti. Le tele sono installate in vari punti delle pareti, a volte anche coprendo gli ormai rovinatissimi affreschi. Lo scopo è forzare il linguaggio verso una soluzione imprevista, in una situazione particolare che può essere appunto il collegamento pittorico con l’antico. Quando la carta stampata copre il muro, i quadri di sfondo, prima autonomi, diventano parte dell’installazione contemporanea. La visione integra, diretta del mondo non può più esistere; si trasforma invece in visione laterale, parziale.

De Marco afferma che si è sempre posto il problema, dagli anni ’70 in poi, di cosa potesse diventare il quadro – la maggior parte dell’arte visiva è costruita intorno a installazioni o a tele del tutto diverse dalla pittura classica. C’era il bisogno di tornare dentro quest’oggetto e il problema di come utilizzarlo. Ora, la funzione storica è molto diversa. Il problema è diventato dell’accumulo, della sovrabbondanza di immagini. Il quadro si fa sottrazione. Anch’esso consumato in un certo periodo di tempo, lo si usa per sottrarre qualcosa, interrogarsi su cosa c’è da vedere, e diventa un mangiatore delle immagini-spazzatura di cui la nostra mente è piena.

[oblo_image id=”2″]Ma perché lo schermo di un computer dovrebbe assolvere a questa funzione? Questo spazio è luminoso e inabitabile, irreale, virtuale appunto, e diventa reale per la prima volta sul quadro, diventa fisico. Il paesaggio non è dipingibile, perché non è possibile risalire a una memoria di rappresentazione, ingenua e poco anatomistica nel rapporto con le cose. Il paesaggio ora è vissuto in maniera bidimensionale, come il computer: è vissuto in modo superficiale. Tante cartoline, che non si vivono – anzi, percepiscono – ma sono inquadrate e ferme. La scelta allora diventa concettuale. Come rapportarsi a un luogo? La risposta è: nel modo più violento possibile. Al piano terra, nelle finestre si aprono grandi macchie di quadri, che sembrano strappati, parti senza valore di composizione.

Al primo piano, invece, per risposta al continuo mutamento degli affreschi e all’ineluttabile sparizione, le sole finestre di Windows, vuote, senza scritte, meno razionali. L’idea è di cercare nell’opera un punto di continua riapertura e discussione delle cose. E qui riparte l’incognita dell’arte sul significato, dove invece, già in fiera, la maggior parte sono già spiegate o spiegabili.

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