La Belinale 2008, il prossimo 14 febbraio, consegnerà al grande regista italiano il premio alla carriera, dopo aver proposto una sua retrospettiva completa. L’omaggio comprenderà anche una mostra fotografica dal titolo “Immagini di una vita. Francesco Rosi”, su iniziativa del Museo del Cinema di Torino, e un documentario diretto da Roberto Andò “Il cineasta e il labirinto”, prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia.

[oblo_image id=”1″]Rosi è stato uno degli esponenti di quel cinema “civile” e “politico”, che da un lato proseguì gli intenti del Neorealismo e dall’altro interpretò, insistendo sul rinnovamento delle tematiche, quella rivoluzione innescata dalla Nouvelle Vague. Negli anni Sessanta egli traccia la sua poetica con due capolavori: Salvatore Giuliano (1962) e Le mani sulla città (1963). Entrambi seguono lo stile di un film-inchiesta, ovvero la messa in scena di vere e proprie indagini sociali, che tentano un’immersione nell’oscurità di alcune vicende di cronaca, trasformate poi in fatti di rilevanza storica.
Il regista napoletano dimostra, come ha ribadito anche in occasione del ricevimento della laurea ad honorem in Pianificazione Ambientale Urbanistica e Territoriale, presso l’Università di Reggio Calabria, che anche l’impegno sociale è uno dei tanti temi da trasformare in arte cinematografica. L’artista, in fondo, è proprio colui che riesce a svelare e a dare forma a tutto ciò che sfugge all’attenzione dell’uomo comune. Nel suo caso la rivelazione è duplice, sia estetica sia socio-policita, e trasforma quell’aggressività della denuncia in forza narrativa.

La realtà è già di per sé, quale oggetto socialmente organizzato, il risultato di una rappresentazione, ovvero un’interpretazione della vita umana, condivisa collettivamente. Questa rappresentazione nelle pieghe delle sue strutture può nascondere verità celate e segreti noti solo a pochi. Segreti che possono fare gli interessi economici di alcuni individui a scapito degli altri. Proprio qui si sviluppano gli interessi di Rosi, in questi risvolti, nel laido occultamento di tali verità, a cui risponde con spirito di denuncia, esponendosi personalmente (ne è un esempio lampante l’uso della sua stessa voce per la narrazione fuori campo in Salvatore Giuliano). Ecco perché il suo cinema politico risulta efficace, per la sua accettazione di quel “guardare” attraverso un’angolazione precisa, comprendendo il passaggio del regista (e dell’artista in genere) da un inevitabile “punto di vista”. Era quello che aveva chiaramente sostenuto Cesare Zavattini, che insisteva, nei suoi scritti, sulla necessità di prendere coscienza e di evidenziare questa relatività di sguardo, anche nel ricercare la “realtà”.

[oblo_image id=”3″]Col tempo, poi, Rosi sembra accorgersi della difficoltà dei tale ricerca e pare aderire a quella posizione di “insondabilità” del reale, che aveva elaborato Sciascia (come avviene in particolare nel film Cadaveri eccellenti, del 1976, tratto dal romanzo dello scrittore siciliano).
Il regista partenopeo, inoltre, nel dimostrare la sua forte passione per l’inchiesta sociale sembra ben coniugarla con la forma spettacolare. Il suo inseguimento della realtà scarta l’idea puramente documentaria in favore di una scelta che parte da uno stile giornalistico senza risparmiarsi momenti di lirismo.
Ecco allora che l’uso del linguaggio filmico è ben dispiegato e la sua rappresentazione dei fatti trova i mezzi per colpire il pubblico, svelando tuttavia i trucchi del mestiere. Come accade, in special modo, con quel cambio di fotografia, in Salvatore Giuliano, (ad opera di Gianni di Venanzo) che se da un lato dà l’impressione di voler cercare più d’una via d’accesso a quella terribile e misteriosa vicenda, dall’altro esibisce gli strumenti della grammatica visiva, evidenziandone insieme limiti e potere espressivo.

Tale risultato Rosi lo ottiene anche grazie alla proficua collaborazione con Piero Piccioni, che, particolarmente nelle prime opere, compone una musica scarna timbricamente, fatta di accordi dissonanti, più incisiva nel ritmo che nella melodia.
Rosi, spinge a indagare e stupisce lo spettatore, per lui l’opera creativa ha la funzione di evidenziare le debolezze di quella visione ingenua, propria della quotidianità, fino a produrre effetti reali. Non a caso, dopo l’uscita di Salvatore Giuliano, nel 1962 si costituì la Commissione antimafia.

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