[oblo_image id=”1″]In attesa dell’uscita in Italia del suo ultimo film My Blueberry Nights (Un bacio romantico), che aprirà il prossimo Indie Lisbona, festival internazionale del cinema indipendente, dal 24 aprile al 4 maggio, la cineteca di Bologna proietta cinque film del cineasta di Hong Kong.

Qui si vuole ricordare 2046 (2004), premio della critica a Cannes 2004, un film dalla trama complessa e ben congeniata, che realizza una forma visiva avvolgente e ricca di sfumature poetiche. Il tocco raffinato di Wong Kar-Wai lo avevamo già apprezzato nei lavori precedenti ma soprattutto in quel In the mood for love (2000) di cui 2046 riprende i temi e la maestria narrativa.

La magia erotica viene qui dilatata tra il filo temporale reale e quello parallelo dell’immaginario. Il protagonista Chow Mo-wan è un giornalista/scrittore che prende in affitto una camera d’albergo ove, per alcuni anni, porta avanti la stesura del suo romanzo autobiografico. Le sue relazioni sentimentali sono volatili perché il suo vero amore, come egli stesso racconta, l’ha perso molti anni prima.
E qui si innesta la metafora del “2046”, che è il numero della camera in cui si è consumata la relazione con l’amata, ma è anche il luogo, nel romanzo dello stesso Chow, da cui non si fa ritorno, il luogo dei ricordi perduti. Solo un uomo riesce ad abbandonare il 2046 e lo vediamo a bordo di un treno futuristico, che sfreccia lasciando riflessi ultraveloci, dalle tonalità calde e ammalianti.

Il luogo misterioso, che rimanda anche a un tempo indefinito, si configura, senza dubbio, come il simulacro della vita stessa ma in particolare dell’amore. Si tratta di un’invenzione verosimile della realtà e del sentimento, delineate dall’uomo stesso come rifugio ai dolorosi strappi dell’esistenza. Un luogo/tempo ove rifugiarsi per rivivere i ricordi, re-inventando quelli strazianti e rigenerando quelli felici e perduti.
[oblo_image id=”2″]La scelta dello scrittore Chow segna una rottura con il 2046 e dopo aver preso coscienza di non potervi ritrovare la donna amata rinuncia all’illusione (scegliendo la stanza 2047, nella realtà, e inducendo il suo protagonista al viaggio di ritorno, nel romanzo). Questo Wong Kar-Wai ce lo racconta con uno stile di puro fascino, giocando con i fili diegetici del presente, del passato e dell’invenzione, i quali si intrecciano inaspettatamente e lasciano lo spettatore tanto attonito quanto incantato.
Ogni scelta linguistica pare seguire un intento preciso e consapevole, annidandosi e sedimentandosi nella lentezza del ritmo. Tutto sembra studiato con attenzione e i simbolismi emergono chiari, spesso ribaditi nell’iterazione, come nella scena in cui Chow e la sua amante della stanza 2046 rompono la loro relazione. Il regista usa un salto di campo (ovvero riprende i due protagonisti come se guardassero nella stessa direzione e non l’uno verso l’altra) per sottolineare la divergenza delle loro passioni. L’amore non ricambiato della donna sembra infatti prendere forma in questo effetto straniante, in cui l’impatto percettivo riesce ad amplificare quello emotivo.

[oblo_image id=”3″]Le messa in scena si articola in spazi angusti, quasi a voler cogliere meglio l’intimità delle vicende. A tale scopo interviene anche l’illuminazione, che slitta tra l’intrigante penombra e la calda luce artificiale. Inoltre l’inquadratura risulta spesso tagliata da pareti nere, drappi rossi oppure oggetti che incorniciano il volto o il corpo dei personaggi. Anche questo effetto pare simboleggiare l’incontro mancato. Infatti, durante i dialoghi, uno degli interlocutori viene sempre nascosto, oscurato, come se vi fosse uno sfasamento comunicativo. Uno sfasamento che è perfettamente e magistralmente ripreso da quella asincronicità emotiva di cui soffrivano le hostess-androidi sul treno del romanzo. L’amore ha un linguaggio imprevisto e inatteso, dice chiaramente il film, fatto di tempi difficili da sincronizzare.

Infine bisogna ricordare quell’uso della romanza belliniana, la celebre Casta diva, tratta dalla Norma. Compare quasi come liet motiv di Wang Jing Wen, la figlia maggiore dell’albergatore, ma il richiamo all’opera intesse legami semantici molto forti con tutta la pellicola. L’inno alla luna della sacerdotessa sembra adattarsi perfettamente alle silenziose invocazioni della giovane innamorata, quasi a voler richiamare nel film quel senso alto, misterioso e magico del sentimento amoroso, da un lato, e dall’altro la costanza e l’ardimento nel ricercarlo fino in fondo, a tutti i costi, nonostante le avversità. Un sentimento che è come un segreto, quello che la leggenda (più volte citata) vuole confidato alla cavità di un albero e poi richiuso con il fango.

Prossimi appuntamenti presso la Sala Scorsese, via Azzo Gardino, 65 – Bologna

-Giovedì 20 marzo, ore 22.15
HAPPY TOGETHER (1997)

-Venerdì 21 marzo, ore 22.15
ANGELI PERDUTI (1995)

– Mercoledì 26 marzo, ore 22.15
HONK KONG EXPRESS (1994)

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