[oblo_image id=”3″]Il Vatnajökull, il più grande ghiacciaio europeo per volume, situato nell’Islanda sud-orientale e sotto cui si trovano diversi vulcani, si sta sciogliendo ad una velocità di cinque chilometri cubi all’anno e questo potrebbe portare a una più frequente e intensa attività vulcanica nell’isola. Ad affermarlo è una ricerca effettuata da Carolina Pagli, dell’Università di Leeds, e Freysteinn Sigmundsson, dell’Università dell’Islanda, in corso di pubblicazione sul Geophysical Research Letters ed i cui risultati sono stati anticipati dagli autori in un’intervista al New Scientist. I ricercatori hanno constatato che il graduale scioglimento della coltre ghiacciata comporta un abbassamento della pressione esercitata sulle rocce sottostanti, con un conseguente aumento della velocità con cui la roccia si fonde producendo magma. A partire al 1890, infatti, il magma verrebbe prodotto a una velocità media di circa 1,4 chilometri cubi all’anno, con un aumento del 10 per cento rispetto al tasso di produzione di base.

[oblo_image id=”2″]In Islanda, dove sono attivi diversi vulcani, durante una grande eruzione del vulcano Gjàlp, avvenuta al 1996, vennero sciolti circa 3 chilometri cubi di ghiaccio creando un enorme lago glaciale. L’ eruzione precedente si verificò invece nel 1938, ossia 58 anni prima. Il magma in più, prodottosi in seguito allo scioglimento dei ghiacciai, potrebbe però portare a eruzioni intervallate in media da soli 30 anni, anche se la previsione non può avere che un carattere puramente indicativo in quanto, secondo i ricercatori, la velocità di risalita del magma verso la superficie non è conosciuta.

Lo scioglimento del ghiaccio può inoltre influire sulla frequenza delle eruzioni anche attraverso un secondo meccanismo: variando la pressione esercitata sulla crosta, cambia anche la distribuzione degli stress all’interno di questa. Lo studio della situazione dell’Islanda non può essere tuttavia direttamente utilizzata in altre regioni vulcaniche, in quanto il Vatnajökull si trova in un posto particolare, al di sopra della dorsale medio-atlantica, dove la placca nord-atlantica e quella europea si separano, ed è proprio questa circostanza a far in modo che la diminuzione della pressione esercitata dai ghiacciai abbia conseguenze che si ripercuotono fino nel mantello terrestre. Secondo Carolina Pagli le aree che potrebbero risentire di questo fenomeno, infatti, comprenderebbero il Monte Erbus in Antartide, le Isole Aleutine e i vulcani dell’Alaska. Proprio le variazioni negli stress presenti nella crosta potrebbero peraltro portare alla creazione di nuove bocche eruttive in località inaspettate: “Pensiamo che durante l’eruzione del Gjàlp il magma abbia raggiunto la superficie in punti inaspettati, a metà strada fra due vulcani, proprio a causa di questi cambiamenti”, ha concluso la Pagli.

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