[oblo_image id=”1″]L’ultimo film di Spike Lee parte da una storia vera, passa attraverso una versione romanzata (dall’omonimo romanzo di James McBride edito in Italia da Rizzoli) e arriva nel paese delle polemiche, cioè il nostro.

Se Muccino va in America alla “Ricerca della felicità”, Spike Lee porta le versioni di Hollywood sugli episodi della nostra storia.

Non staremo a sterilizzare polemicamente il film che ha una storia a sé ma la nostra attenzione cade piuttosto su tutto quel ciarlare che galleggia intorno agli spettri di un film americano girato in Italia.

Che sia una storia romanzata, ispirata a fatti storici, lo si sapeva dall’inizio, basta leggere il romanzo per vedere come ad un certo punto la fantasia prenda un bivio diverso dalla realtà ed è lecito. Che si faccia un processo alla fantasia invece non è cosa tanto normale.

Non è un film revisionista, è qui sta l’inghippo che da tanto da mangiare alla stampa in generale, ma un film tratto da un romanzo. Attenzione, si parla di un romanzo, non un saggio storico. Leggendo le pagine dei giornali sembra di essere tornati al recente periodo del “Codice Da Vinci”, dove tutto quel gran parlare ha fatto bene solamente al film.

Piuttosto, domandiamoci effettivamente come e perché si arrivi sempre a questo punto.

In un mondo dove la Storia è scritta dai vincitori, non presenti sorpresa alcuna il fatto che in un Paese come il nostro la realtà sia riscritta e re interpretata quotidianamente nella nostra informazione.

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