[oblo_image id=”1″] Calciopoli ha fatto comodo a molti. Chiunque fosse reduce da una serie di insuccessi, poteva giustificarsi con la storiella dell’orco cattivo – alias Luciano Moggi – che condizionava ogni aspetto del mondo del pallone. Tra questi come dimenticare Zdenek Zeman. Il tecnico boemo ha ripetuto come un disco incantato di essere stato emarginato dal calcio che conta per la sua fama di uomo scomodo. Peccato che i numeri spesso siano inequivocabili. E basta andarli a leggere, per scoprire come il profeta del 4-3-3 continui a collezionare fallimenti in serie. L’ultimo con la Stella Rossa Belgrado, ultima in campionato ed eliminata in Uefa dai terribili ciprioti dell’Apoel Nicosia.

Perchè la coerenza è una qualità rara, ma spesso il confine con l’autolesionismo è sottile. Ed è difficile continuare a credersi innovatori riproponendo lo stesso calcio e gli stessi schemi di 20 anni fa. Ma, al di là dei giudizi personali, mai come nel caso di Zeman, sono i risultati a parlare chiaro. E così andiamo a scandagliare il curriculum recente aggiornando chi aveva lasciato il tecnico boemo sulla panchina delle squadre capitoline. En passant sottolineiamo – ma sarà senz’altro un caso fortuito – come Lazio e Roma abbiano dovuto aspettare proprio il suo addio per vincere qualcosa.. Nel 1999 Zeman accetta la panchina degli ambiziosi turchi del Fenherbace. Dieci partite con appena tre vittorie ed immediate dimissioni. Del decantato calcio spettacolo neanche l’ombra. La stagione successiva fa il suo ingresso trionfale a Napoli. Viene accolto con tutti gli onori dalla piazza partenopea. Ma 2 punti in 6 partite sono un bilancio che sa di condanna. Inevitabile scatta l’esonero. Rimane comunque in zona per iniziare l’avventura con la Salernitana. Qui Zeman gode di credito pressoché illimitato e dopo una stagione d’assestamento veleggiando a metà classifica, viene confermato con l’obiettivo di puntare alla zona play-off. Ed invece la squadra crolla attestandosi presto come fanalino di coda. Ancora una volta viene sollevato dall’incarico. Il tour in Campania si chiude con l’Avellino. Gli irpini si rivelano presto un’armata Brancaleone e si guadagnano con largo anticipo la retrocessione in C1. Zeman lascia ovviamente la barca che affonda. Altro giro, altra ruota e il grande accusatore del nostro calcio finisce a Lecce. In salento Zeman non convince nonostante un potenziale offensivo straordinario e in due puntate si consuma l’ennesimo congedo. Nel frattanto combina danni anche a Brescia dove promette 11 vittorie in 11 partite e rimedia sette sconfitte costringendo persino il presidente delle rondinelle Gino Corioni ad ammettere di aver sbagliato puntando su di lui.

Da notare come da tempo Moggi sia stato estromesso dal calcio. La tesi del presunto ostracismo nei suoi confronti quindi non sta più in piedi. Come detto l’ultimo guizzo lo regala a Belgrado. Una squadra con elementi più che promettenti ma che ha già conosciuto il gusto amaro dell’ultomo posto in campionato con un punto in tre partite e della clamorosa eliminazione nei turni preliminari della Coppa Uefa.

Di chi la colpa di questi fallimenti ad ogni latitudine? Delle farmacie, degli intrighi di potere, della stampa servile? Non sarà per caso che l’allenatore sia stato un po’ sopravvalutato e che ora paghi la propria intransigenza calcistica? Magari è la volta buona per un sereno esame di coscienza. Chi è causa del suo male, pianga se stesso.

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