[oblo_image id=”1″]L’ultimo film del regista kazako Timur Bekmambetov è ispirato ai fumetti di Mark Millar (disegni) e J.G. Jones (storia). La sua ispirazione è tuttavia parziale, perché reinventa la storia e modifica alcuni elementi narrativi, rimodellando anche l’impianto teorico di fondo.
Un esempio particolarmente significativo riguarda le modalità di scelta delle vittime, da parte della società di killer chiamata Confraternita. Nel film c’è un telaio che incarna il Fato. Questa trovata narrativa era inesistente nel fumetto, che non giustificava più di tanto la scelta degli obiettivi da eliminare. La tela di Bekmambetov ci riporta invece alla mitologia greca, quella che voleva tre dee, le Moire (Parche, per i Romani, Norne, per gli Scandinavi), quali tutrici del destino. Il loro compito era quello di tessere i fili vitali di ogni uomo e di stabilirne la recisione, ovvero la fine di ciascuna esistenza. Nel film, però, la morte designata è affidata a killer addestrati, i quali sono pertanto costretti ad assumersi la responsabilità dell’atto omicida. Fato sì, ma che va interpretato e …messo in pratica.

Pertanto il telaio che, come strumento divino, vorrebbe riequilibrare la lotta tra il Bene e il Male, fallisce miseramente perché è costretto a passare per l’“umano”, a chiederne l’intercessione.
Quella che trionfa, allora, è la libera scelta e l’arbitrarietà degli eventi, fino a spingere l’eroe, la cui missione si rivelava difficile da comprendere secondo una logica terrena, diventa il distruttore di quell’arcano gioco di controllo. E lo fa tanto per ricordare quanto sia pericoloso che un singolo decida per tutti gli altri. L’egoismo personale, l’auto-conservazione (la confraternita che rischiava di estinguersi per lo stesso volere del telaio del Fato e che Sloan decide “arbitrariamente” di salvare) sfociano facilmente nella megalomania e nel totalitarismo.

[oblo_image id=”3″] Passando al piano della rappresentazione, è interessante notare come Bekmambetov usa gli effetti speciali, non solo per esaltare le scene d’azione e di conflitto a fuoco, ma anche per descrivere le distorsioni spaziali e temporali, che ai fini diegetici ricoprono un ruolo fondamentale. Si pensi ai poteri di Wesley, ovvero a quella capacità di accelerare i propri battiti cardiaci, al fine di concentrare la propria attenzione su frazioni di eventi particolarmente veloci. Assistiamo, in alcune scene, a un effetto di ingrandimento-distorsione, sia a livello visivo sia sonoro, che esprime percettivamente una chiara ambiguità. Infatti, quella distorsione ottica, simile a un’onda concentrica, e l’amplificazione del volume, congiunto all’isolamento-rallentamento di voci e suono corporeo, sembrano claustrofobici e opprimenti, quando Janis rimprovera Wesley. Tuttavia lo stesso effetto si trasforma in eccitante ed esaltante senso di potere, nella scena in cui quest’ultimo colpisce le ali delle mosche con le pallottole. Pertanto quelli che successivamente si rivelano doti straordinarie erano, all’inizio, classificate come disturbi (le crisi di panico). È un po’ come voler affermare che tutto ciò che sembra un limite, può rivelarsi poi una risorsa e che, quindi, una sindrome ansiogena nasconde, in realtà, una certa sensibilità non valorizzata.

Un altro messaggio che il regista fa passare è quello sull’importanza dell’addestramento in luogo della capacità innata. Infatti se, in un primo momento, il superpotere viene contrassegnato come un’ abilità ereditaria, successivamente seguono scene in cui il giovane adepto viene educato attraverso varie fasi. Anche se designato come eroe, ha quindi bisogno di imparare tecniche e trucchi mediante un contatto diretto con i suoi “allenatori”, di cui cercherà di imitare gesti e atteggiamenti. Anche in questo sta l’estrema concretezza di Wanted, che, se pure sfocia con disinvoltura in acrobazie e funambolismi ai limiti del verosimile, nasconde tuttavia elementi ben radicati nella realtà. Tantopiù che l’eroe deve passare per i modi ben poco romantici dei suoi addestratori, tra i quali figurano personaggi che, già dai nomi, rivelano la loro “genuina” competenza (il riparatore, il macellaio, l’armaiolo).
[oblo_image id=”5″] Infine, un altro elemento che conferma il senso realistico (soprattutto in relazione al processo di apprendimento) è l’importanza attribuita alla motivazione personale, nel raggiungimento di un certo obiettivo. Il povero Wesley è pressato finché non riesce a individuare un proprio scopo all’interno della Confraternita, e non acquisisce l’abilità di far curvare le pallottole finche non sente emotivamente quella spinta (evitare di ferire Fox e non più solo carne macellata). Questa motivazione, poi, passa attraverso la decostruzione e la ricostruzione dell’identità. Quella stessa identità che si metterà ulteriormente in discussione, nel finale, per riaffermare la possibilità della libera scelta e del libero arbitrio.

Il regista del Kazakistan realizza, insomma, un’opera che, pur nella sua matrice fantastica da action movie, insinua una riflessione sulle scelte dell’uomo, mettendo in scena quei valori capaci di rendere l’eroe, pur nel suo fascino irraggiungibile, una figura più vicina e rassomigliante a ognuno di noi.

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