Siena – Sarajevo (e ritorno). Treno più autobus. E venti ore di viaggio per poter essere presente alla settima edizione degli Incontri internazionali di poesia di Sarajevo, una rassegna internazionale organizzata dall’ambasciata italiana di Sarajevo, curata da Casa della poesia di Salerno (di Baronissi) e dedicata al poeta bosniaco Izet Kiko Sarajlić scomparso nel 2002. Tre giorni (3, 4 e 5 ottobre) dedicati alla cultura dell’incontro, della pace nella città dove ha preso fuoco il primo conflitto mondiale e dove si è acceso l’odio etnico di fine secolo. Romantico il mezzo di trasporto. Romantico il fine. Protagonista solitario di questo strano e affascinante viaggio è Giuseppe Bonura, ventiquattrenne catanese laureando in Lettere a Siena. Il breve diario chesegue è la fedele trascrizione di quindicisuoi sms. Al netto di quelli che lui ha ricevuto durante la settimana del soggiorno balcano. Ogni messaggio è stato contrassegnato dal giorno, dall’orae da un numero progressivo. Il risultato è un sorprendente racconto in presa diretta. Fatto di osservazione dei luoghi e delle situazioni, di sms e di unresoconto.
«Mercoledì 1 Ottobre 2008. Ore 21:50 – sms n. 1. Sono sul treno per Zagabria, se mi addormento arrivo a Budapest. Domani verso le 7 del mattino nuove notizie, forse. Giovedì 2, 05:06 – 2. Zagabria. Attendo il mio autobus per Sarajevo. Nessuno parla inglese. Indicazioni a gesti. 06:38 – 3. Sono sull’autobus per Sarajevo. Albeggia mentre una ragazza, pochi posti indietro, mangia un dolce alla crema. 13:35 – 4. Quaranta km per Sarajevo. Ci sono molte disomogeneità. Gradiska, prima città dopo il confine, ha molti lavori di ricostruzione e solo qualche palazzo distrutto o segnato da colpi di mortaio. A Tranvnik e dintorni invece molte case distrutte e colpite da mortaio. Inoltre, molto più povera e con poche case nuove. Per Sarajevo solo settanta km di autostrada. Parzialmente in ricostruzione. Ogni paese ha uno più giardini di tombe bianche. 16:00 – 5 Arrivato. Sono in ambasciata (italiana). Sarajevo non è una città, è l’antro della fucina di Vulcano. Fuoco, ferro, ruspe. Venerdì 3, 10:01 – 6. Una ragazza che lavora nella mia pensione, e che era qui durante la guerra, mi mostra su una mappa da dove sparavano gli snipers (i cecchini) dei serbi. La zona da cui sono entrati e quella che hanno tenuto (anche la zona dell’acquedotto). Dov’erano le postazioni del contingente internazionale (vicino l’acquedotto). Vedo la piccola fontana da dove i sarajevesi prendevano l’acqua. Per quasi ¾ colline di snipers. “Sarajevska, two glass”, due bicchieri di birra di Sarajevo. Li bevo mentre la gente sale e scende da vecchi tram. 12:42 – 7. Cimitero di Lov (Leone). In quella zona altri 3 cimiteri: lapidi bianche musulmane, nere cristiane. Forte mal di testa, giornata umida e tiepida. Prendo delle pite e dei burek (sfoglie ripiene a forma di spirale o quadrate). Qui, (in via Ferhadija), 16 anni fa cadeva la bomba sulla fila dei sarajevesi in coda per il pane. Sarajevo Est, amministrativamente della Repubblica Srepska (serba): nulla di nuovo. A parte alcuni movimenti dell’Eurofor. Tre macchine. Due davanti la Sarajevska (fabbrica di birra). La terza entra in un lussuoso locale credo per un ricevimento. Accanto, un ufficiale. Inizio a preoccuparmi per i sigari: pare non ne esistano di bosniaci (rifiuto i cubani). E dei miei Soldati non ne ho che uno e mezzo. Sabato 4, 8:10 – 8. Ieri, sino alle 4 del mattino con Admir e Adnan, due giovani imprenditori locali. Dopo la serata di poesia, una cena organizzata dall’ambasciata. Li ho incontrati lì. Ora attendo il mio interprete Zoran. 14:00 – 9. Ottimi contatti per il nostro documentario. Qui ci sono le elezioni amministrative. Domani ho appuntamento con alcuni politici per interviste. Oggi intervista a gruppi giovanili contro l’Amministrazione. Tante altre cose, ma la giacca gonfia d’acqua e le mani congelate mi fermano, per ora. 19:36 – 10. Ci sono due tipi di sarajevesi. Quello con lo sguardo profondo del miope, ti fissa già da lontano e non sei sicuro se veramente ti guardi: sono i vecchi, per lo più. L’altro è il giovane che ti passa accanto e non te ne accorgi, ma forse ti ha riconosciuto. Notte gelata. Penultimo mezzo sigaro. Mi dirigo agli appuntamenti di poesia col basco in testa (molto usato qui). 19:44 – 11. La prossima volta ci devi essere, sto lavorando per il nostro progetto. Domenica 5, ore 11:55 – 13. Sopra una collina di Sarajevo est, tra lapidi bianche, fiori gialli e rossi, primavera in questo vento che gelido mi taglia il collo nonostante il bavero in su, tra foglie gialle, con un mal di gola soddisfacente in considerazione del tempo sotto l’acqua senza ombrello; tra tutto questo leggo Sinan Gudzevic (mi scambiano per bosniaco: I’m not bosnian): ‘Stanotte ubriaco dormivo, ed ora da sobrio son desto. Per tutti gli dèi, fa male sia quello che questo’. 17:26 – 13. Con Zoran l’interprete entro all’ufficio centrale elezioni, presentandomi come giornalista. Ci offrono 2 tazze di caffè e dopo poco il dirigente capo ci comunica tutti i dati. Desideriamo altro? Dico no e ringrazio. Finiamo il caffè. Forse tra poco intervisto il poeta Gudzevic. Ho scoperto che Sarajevo Est è dietro quella che pensavo fosse Sarajevo Est. Vado per le interviste ai politici. Lunedì 6, ore 01:11 – 14. Intervista importante e di denuncia al segretario nazionale per l’informazione (e portavoce) del Partito Socialdemocratico. Ritorno per le vie deserte e gelate. Domani in ambasciata per consegna regalo. Ore 12.30 partenza per Zagabria. Bevo dalla fontana a cui chi vi beve, si dice, ritornerà. 10:04 – 15. Un’ultima passeggiata tra le botteghe artigiane del centro dopo essermi assicurato un forte ricordo in un’ampia bottiglia di grappa alle prugne. Specialità sarajevese».