Una squadra di calcio, a livello professionistico, può avere uno sponsor tecnico (necessariamente legato al mondo dello sport) e uno sponsor ufficiale (non legato a suddetto vincolo). Gli sponsor legati ad una delle squadre più accreditate del globo, però, hanno qualcosa che, pur sfuggendo ad un primo sguardo, risulta evidente, dopo un’attenta riflessione.
L’Unicef è una famosissima fondazione che si occupa della difesa dei diritti dei minori in ogni parte del pianeta, sia in zone soggette a cataclismi, che in zone di guerra. La Nike, invece, è stata spesso accostata a casi di sfruttamento minorile da molti enti no profit. Come noto, infatti, la suddetta multinazionale ha subito un duro colpo, nel 2000, quando furono trovate prove che le sue fabbriche in Cambogia non erano in regola in quanto al lavoro minorile; proprio per questo, nel 2002 fu costretta a riaprire, proprio in Cambogia, una fabbrica strettamente controllata, con risonanza in tutto il mondo (ha avuto un grande spazio anche su La Repubblica). Ma non siamo qui a parlare di attualità; siamo qui a parlare dello strano, tragicomico paradosso creatosi nell’affiancare un’associazione come l’Unicef, che – presumibilmente – salva i bambini dallo sfruttamento di alcune tra le più grandi multinazionali mondiali, tra cui, si teme, anche la Nike.
Il paradosso risulta ancora più evidente quando si considera che il Barcellona annovera giocatori come Lionel Messi, Samuel Eto’o e l’appena ceduto Ronaldinho, che, per la loro provenienza, dovrebbero essere maggiormente sensibili alla violenza sui bambini, dato che Brasile, Argentina e Camerun non sono propriamente additati come paesi dove i diritti dei minori siano tutelati.