Giunto recentemente nelle sale, senza una particolare promozione, è il film d’animazione Ken il guerriero – la leggenda di Hokuto, ispirato ad una delle saghe più popolari del mondo anime: Ken il guerriero.
Nato nel 1983 dal manga di Tetsuo Hara e Yoshiyuki Okamura, fu ben presto riproposto in una versione anime, che sancì da un lato il successo del personaggio di Kenshiro, dall’altro la piena entrata nel mondo occidentale degli anime e la diffusione dell’immaginario giapponese.
Ken il guerriero, infatti, propone al suo interno temi cari alla cultura giapponese ed, in particolare, a quella dei samurai, cioè l’olocausto nucleare, le arti marziali, la forza interiore, il coraggio, la tristezza, il senso del sacrificio, l’amore e l’amicizia.
[oblo_image id=”1″]La trama, infatti, inizia con la presentazione di un mondo, che alla fine del ventesimo secolo è uscito da un conflitto mondiale, che ha portato alla distruzione della civiltà moderna. La popolazione sopravvissuta all’olocausto nucleare è, perciò, ridotta a vivere in piccoli centri urbani in condizioni precarie. Inoltre questa situazione di disagio è accentuata dall’aumento di predoni, che saccheggiano i villaggi, distruggendo tutto ciò che incontrano, e dalla furia del malvagio Sauzer, il sacro imperatore della scuola di Nanto. In questa ambientazione la trama ruota attorno al personaggio di Kenshiro, 64° successore della scuola di arti marziali “Divina Scuola di Hokuto”, l’Hokuto Shinken. Questa particolare tecnica di combattimento riesce a far convogliare attorno ai “punti di pressione” del corpo dell’avversario la sua energia al fine di infliggergli colpi letali o curativi. L’obiettivo di Kenshiro sembra scritto nel destino e sarà quello di salvare il mondo.
Il lungometraggio è una sorta di speedy-story della versione televisiva, che sviluppa l’episodio del Mausoleo a croce del sacro imperatore. Le immagini, la musica e le scene, infatti, riprendono fedelmente lo stile dell’anime, portando sul grande schermo un film d’animazione ben strutturato e comprensibile anche ai neofiti. Infatti l’arrivo di Kenshiro nelle sale può definirsi non solo un salto transmediatico, ma anche una proposta culturale transgenerazionale, capace di far conoscere anche alle nuove generazioni un personaggio che ha influenzato l’immaginario dei trentenni di oggi.
Tecnicamente è ben fatto: le interpretazioni dei doppiatori sono buone, le scene d’impatto, la storia è comprensibile, nonostante i salti temporali; eppure a tratti risulta noioso, lento, forse proprio per questa caratteristica riassuntiva. L’impatto è positivo nel complesso, ma cade e perde gran parte del suo charme a causa, forse, di una narrazione stilistica e d’immagine un po’ retrò, anche se la parte riguardante la sensibilità amorosa è più accentuata rispetto alla serie tv. La sintesi, se da un lato velocizza la trama tagliando parti, che nella serie tv erano futili e insignificanti, dall’altro tende a far perdere la concentrazione dello spettatore.
Il poema epico degli anni ’80 rinasce, convince, ma non appassiona. La magia nascosta dietro alla saga può essere rivissuta dai fans, dai malinconici, ma chi non conosce la trama può restarne indifferente, nonostante possa reputarsi ancora attuale e per nulla anacronistica.
Le scene sono violente, sanguinolente, empaticamente dolorose, in un crescendo di emozioni e di rabbia verso un mondo a rotoli.
Il personaggio di Kenshiro racchiude in sé la parte eroica ed elettiva, assieme ad un perfetto equilibrio tra yin e yang. Ken è vigoroso, forte, brutale, violento, ma sensibile, empatico, generoso.
Ad ogni modo è un’anime giapponese, quindi nettamente diverso dallo stile cartoon, comico, ludico, a volte quasi demenziale, tipicamente americano della Disney e della Pixar. Ken il guerriero ha tutto l’impatto emotivo dei film d’animazione giapponese, oltre che una certa serietà stilistica, paragonabile ai film fantascientifici in senso stretto, con una sua morale, una sua critica e una sua filosofia.