L’apparato tecnologico sviluppato intorno alla fotografia è ormai sconfinato. Non resta che l’imbarazzo della scelta: che si tratti di una compatta super automatica o di un sofisticato apparecchio professionale, premere il pulsante di scatto significa fermare un attimo irripetibile. Come lo definì Henri Cartier-Bresson, grande fotografo del secolo XX, «Una mannaia che coglie nell’eternità l’istante che l’ha abbagliata». Può sembrare retorico, però rende l’idea: quando la mannaia è calata non si torna indietro.
Osservando le caratteristiche tecniche degli attuali apparecchi fotografici, ci si accorge che vi sono prestazioni in continua evoluzione, per ogni necessità: dai parametri fondamentali alle novità, tutto è in continuo mutamento. Soprattutto per ciò che riguarda la velocità operativa, grazie all’elettronica ed all’informatica, i tempi di risposta degli strumenti si accorciano sempre di più. Dove un tempo occorrevano alcuni secondi per impostare la messa a fuoco, per esempio, oggi assistiamo all’operato di sistemi autofocus che agiscono in minuscole frazioni di secondo. Occorre dunque una distinzione.
I parametri fondamentali della ripresa, sin dagli albori della fotografia, sono essenzialmente quattro: l’impostazione della sensibilità, il tempo di scatto, l’apertura relativa (diaframma) e la messa a fuoco. Sono loro gli “immancabili”. I primi tre sono legati indissolubilmente da un filo stretto: per ottenere l’esposizione corretta, se cambia uno devono adattarsi anche gli altri due. La messa a fuoco va per conto proprio, ma è comunque una scelta obbligata. Tutto il resto e opzionale e riguarda la “rifinitura” – se posso concedermi il termine – per ottenere l’immagine desiderata. Per fare qualche esempio, posso variare la temperatura di colore, scegliere di operare in monocromatico (bianco e nero), scattare in rapida sequenza, utilizzare il flash. Queste caratteristiche operative sono comunque successive alla scelta dei parametri fondamentali. Il tutto poi è indipendente dalla qualità del risultato fotografico in termini di uso pratico e creatività, che hanno bisogno di essere supportati da una buona preparazione; questa si realizza in merito alla conoscenza della materia, del mezzo che si usa e verso una cultura di carattere puramente artistico. Studiare la storia della fotografia, per esempio, non è un fastidioso perditempo nozionistico, è il presupposto per impostare un proprio e soggettivo percorso di ricerca espressiva; questo nasce nell’interiore e, attraverso lo strumento fotografico, porta a compimento la nostra necessità di comunicare. La lettura attenta delle foto di chi ci ha preceduto è un prezioso ausilio alla formazione della nostra via espressiva personale. I risultati poi possono essere anche soltanto semplici cartoline, foto ricordo o scatti legati ad un momento particolare della nostra esistenza. Ad ogni modo, se ci siamo impegnati un minimo nel cercare di eseguirli con perizia, potranno raccontare una storia del nostro vissuto a qualunque osservatore. Altre persone avranno così l’opportunità di “leggere” un po’ di noi stessi all’interno delle fotografie che affideremo alla loro visione.
Mi piacerebbe allora continuare su questo sentiero, con qualche serena considerazione e pensieri a ruota libera che emergono semplicemente dalla mia esperienza. Chiacchierando di fotografia e di come può agire nell’interiorità, credo sia possibile utilizzarla come uno strumento per favorire la qualità della vita. Anche questi possono essere parametri fondamentali.