Ci sono partite che non vorresti giocare. Ci sono momenti in cui un calciatore si sente prigioniero dei propri tifosi. Sa che sta per deluderli ma non riesce a scuotersi. E’ la sensazione d’impotenza, strazio ed angoscia vissuta dai giocatori del Corinthians.

Ma ricapitoliamo con ordine. Il Corinthians è uno dei club più gloriosi del Brasile. 97 anni di storia, più di 20 milioni di tifosi sparsi nel mondo e mai una retrocessione. Mai fino a Domenica 2 Dicembre 2007. Una data che difficilmente verrà cancellata dalla memoria dei tifosi paulisti. Il Corinthians si presenta all’ultima giornata in trasferta col Gremio con un solo imperativo. Vincere. Risultato alla portata contro un avversario demotivato e senza più nulla da chiedere al campionato. Nelle dichiarazioni della vigilia, allenatori e giocatori si erano dimostrati compatti nel ripetere come la retrocessione era un’eventualità da non prendere neanche in considerazione.

[oblo_image id=”1″]Peccato che poi in campo bisogna scenderci comunque e le parole hanno il difetto di far sembrare tutto più facile. Così il Gremio passa in vantaggio al primo minuto. Inizio da incubo ma c’è tutta la partita per rimediare. Anche i sostenitori del Corinthians non sembrano spaventati: è quell’apparente serenità che aiuta ad esorcizzare un incubo, rifiutandosi di ritenere possibile una realtà troppo brutta. E almeno per un attimo sembrano avere ragione. Al 39′ Clodoaldo segna il gol del pareggio, una rete che ha il sapore della liberazione. Ora la salvezza è ad un passo. Il Corinthians ha più di un tempo a disposizione per firmare il sorpasso. Ma la squadra si smarrisce. Improvvisamente le gambe diventano di legno, lo sguardo dei giocatori appare assente come se ci fosse rassegnazione a quello che sta per accadere. I minuti trascorrono inesauribili in un clima irreale. Ci vorrebbe una reazione. Magari senza acuti tecnici, ma quantomeno sarebbe lecito attendersi un sussulto d’orgoglio. Il problema è che i giocatori sono ormai prigionieri dei loro timori.

Altro che reazione. A guardarli in volto l’unico desiderio che trasmettono è quello di essere da un’altra parte. Dovunque al mondo, ma non su quel campo. E’ una sindrome che a volte colpisce gli sportivi quando sono vicini ad un traguardo che alla vigilia appariva scontato. E’ ciò che è successo all’Inter il fatale 5 Maggio 2002 prima di arrendersi alla Lazio regalando uno scudetto ormai già cucito sul petto o alla grande maratoneta inglese Paula Radcliffe quando inspiegabilmente fu costretta al ritiro durante le Olimpiadi di Atene. Sugli spalti all’incredulità comincia a subentrare la rabbia e quando l’arbitro decreta la fine la situazione peggiora. In campo i giocatori finalmente hanno una reazione emotiva iniziando a piangere senza sosta. La società saggiamente decide di evitare il rientro in serata a San Paulo per evitare una contestazione dalla conseguenze difficili da immaginare. Ma la classifica rimane lì a ricordare come il Corinthians non appartenga più al gotha del calcio brasiliano. I tifosi vivono il loro lutto sportivo ma è da loro che bisogna trovare la forza per ricostruire da zero. Con la certezza che 97 anni di storia non possono essere cancellati. Neanche da una retrocessione.

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