“Degenerazioni”, il nuovo libro di Alessandro Barbano, vice direttore del “Messaggero”, più che un saggio sulla droga, è una sorta di requisitoria, lucida ed appassionata. Il suo è un J’accuse duro ed implacabilecontro la droga, ma soprattutto contro tutti coloro, che con il loro lassismo e la loro acquiescenza, chiudono un occhio di fronte a questa piaga. Alessandro Barbano si erigea censore e fa una, assolutamente non celata, denuncia nei confronti dei “disvalori” della società contemporanea, mettendo al bando sia l’hashish e gli spinelli, e sia la società che li tollera. “Degenerazioni” è un viaggio nell’emergenza educativa del Paese e della società occidentale. Per Barbano, a far da cartina tornasole della condizione etica e morale in cui ci troviamo, è proprio il consumo di droghe leggere e pesanti e, cosa ancor più grave, la diffusione della cultura che le sostiene. Tre gli indagati principali: la famiglia, e la crisi del rapporto padri-figli; la scuola, con la perdita della sua autorità che si traduce spesso in una rinuncia etica; lo Stato e il lassismo della politica.Barbano esorta tutti affinché ognuno si riprenda il suo ruolo, ed invita i genitori a fare i genitori, gli insegnanti a fare gli insegnanti e i giovani a non farsi prendere dalle mode, soprattutto quelle che li precipitano nell’abisso della disperazione e dell’annientamento personale. Quella della droga, per Barbano è una sfida contro l’emergenza di una generazione è un recupero di quei valori che fondano la storia della civiltà occidentale. La sua tesi, che farà discutere, è questa: Le droghe definite leggere, altro non sono che il passaggio obbligato verso quelle pesanti. Per Barbano bisogna dire ai nostri ragazzi, che lo spinello fa male e non ci sono altri perché da aggiungere. Affascinante, ma un po’ riduttiva a nostro avviso. Perché se è giusto dire che queste sostanze fanno male, è anche vero che ne vanno spiegati i motivi. Poi, gli assolutismi, tutti, non ci sembra abbiano prodotto mai grandi risultati. Ovvero, vietare non corrisponde ad abolire, anzi… Nel suo libro racconta drammi del quotidiano e spiega le motivazioni profonde del fenomeno, le sue motivazioni, ovviamente. Barbano se la prende con chi sostiene il “diritto alla droga” nel nome sacrosanto della libertà individuale. Barbano si chiede: “Per quale convenienza o suggestione un Paese che vieta o limita il fumo delle sigarette e che impone l’impiego del casco in moto non dovrebbe e non potrebbe, in nome del medesimo valore, difendere l’integrità della vita battendosi contro il dilagare di una cultura che attenta ad essa?” La sua considerazione è che l’Occidente ha perso la memoria della sua civiltà. Sono passati quasi sessantanni dall’ultima guerra mondiale, e da quando le nazioni legate tra loro da millenni di storia, stilarono l’elenco dei valori dell’Occidente. Tra questi, si leggeva: “La libertà è inseparabile dalla responsabilità morale, che presuppone il riferimento a una legge superiore, qualunque sia il nome che la designa”. Dunque non è questione di laicità o di fede, né di destra o di sinistra. La lotta alla droga è un’irrinunciabile dovere delle autorità morali, sociali, religiose. Quindi, della famiglia e dello Stato, attraverso le sue scuole, le sue forze dell’ordine, i suoi magistrati. Ma questi principi di responsabilità sono stati scardinati negli anni, e la confusione fra autorità ed autoritarismo, è figlia del ’68, che per Barbano, ha fatto dei guai irreparabili. Oggi, e da sempre, di droga se ne parla, e tanto, le opinioni sull’argomento sono le più diverse, al punto che come dice Roberto Gervaso nella prefazione del libro: “Forse si spacciano più opinioni che polverine bianche”, ma il problema non accenna a risolversi, forse perché in questi anni le discussioni in merito erano tutte rivolte a difendere le droghe, almeno quelle leggere, ma questa è una battaglia impopolare, e quindi una battaglia persa. Per Barbano tutto il problema è riconducibile alla perdita dei valori fondamentali, senza i quali non si può parlare di “Società”. Piaccia o no, una società affinché si definisca tale non può prescindere dalle regole, dai principi, dalle prescrizioni e anche e soprattutto dai divieti. Barbano se la prende molto con il ’68, attribuendogli molte colpe, una su tutte: quella di aver sovvertito le gerarchie, in nome della parità dei diritti, e della più demagogica delle utopie, quella dell’uguaglianza. Per Barbano le gerarchie, se fondate sull’esperienza e sul merito, sono sacre; incrinarle e sovvertirle, significa condannare una società all’anarchia. Altro J’accuse di Barbano è quello nei confronti della droga di stato, dei Sert, per intenderci. Per lui, si tratta di una sventurata prospettiva, che rende i tossicodipendenti cronici, oltre a permettergli di scrollandosi di dosso ogni residuo senso di colpa. Di contro, esorta gli antiproibizionisti a fare un ragionamento ed una riflessione sul vuoto che si allarga nelle menti di chi abbandona la via dei doveri per accampare solo diritti. La società in cui viviamo ha rimosso molti dei valori condivisi per millenni. La crisi della famiglia, altro non è che un aspetto della crisi della democrazia stessa. Gli adulti non possono sfuggire alle loro responsabilità verso i giovani che hanno generato. Tutti abbiamo il dovere morale di trasmettere quel nucleo di valori essenziali senza i quali viene a mancare il senso stesso della vita. Bisogna assolutamente impegnarsi per “togliere” i ragazzi da una condizione che Simone Weil definiva come “la più pericolosa malattia delle società umane”, lo sradicamento, dai più oggi detto “sballo”, che altro non è che una fuga dal mondo, che ha come conseguenza l’instabilità, l’incoscienza, e molte sciagure. Tutto bene, tutto giusto, ma ci sembra un po’ troppo rigido il ragionamento del caro Barbano, sarebbe come dire ai ragazzi: “Usate il preservativo quando fate l’amore, altrimenti si rischia di rimanere incinta! Ma chi se la sente di dire ai ragazzi che fare l’amore fa male e basta?!

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