[oblo_image id=”7″]Il talento di Ugo Pagliai e di Paola Gasmann, in una dell’opere più conosciute di Dino Buzzati: 7 piani, in scena allo storico teatro Carcano, di Milano, fino al 6 aprile. Si tratta, senza esitazioni, di un’alchimia ben riuscita, dal gusto un po’ retrò che ci riporta forse alle atmosfere dell’Italia di Moravia e di Montale, di cinquant’anni fa, quella del boom economico; e anche a quelle della solitudine del decadentismo e nel contempo dell’assurdità della modernità.
Il testo, un riadattamento del famoso Un caso clinico dello scrittore bellunese, è firmato da Michele Ainzara, e ripercorre il tema, caro a Buzzati, del rapporto tra la volontà umana e l’impotenza, dato dall’incomunicabilità e dalla solitudine del quotidiano.
[oblo_image id=”5″]E’ la storia dell’avvocato Giuseppe Corte, uomo in apparenza tutto d’un pezzo, dedito al lavoro, alla casa, all’anziana madre egoista e a sani principi. Un uomo a cui nessuno, come si definisce il protagonista, ha mai messo i piedi in testa, interpretato con meravigliosa tenerezza da Pagliai, che ne addolcisce i tratti, facendolo apparire, indifesa vittima della propria incapacità di ribellarsi ad un destino di inconsapevole solitudine. Soprattutto la volontà di Elisabetta, interpretata da Paola Gassman, qui nel duplice ruolo, oltre che dellamadre anche della fidanzata, lo fa inciampare nel sacro e coraggioso sentimento dell’amore fino a quando a causa di una banale operazione chirurgica di routine, tutto cambia. Giuseppe, finisce così al 7° piano di una clinica privata. Un 7° piano che segnerà in tutti i sensi la sua discesa, fino all’inevitabile conclusione, così drammaticamente e assurdamente descritta da Buzzati. Ma sta proprio nella assurdità della situazione che va a prendere forma il pathos della commedia che si trasforma in tragedia, una tragedia in cui forse ci si potrebbe tranquillamente identificare.
Spettacolo ricco e ben strutturato, si avvale di una scenografia creativa, in cui spesso giocano proiezioni di immagini da cinematografo che rimandanoa situazioni ormai passate, ma all’epoca della stesura della sceneggiatura, assolutamente all’avanguardia.
Intensa la recitazione di Pagliai soprattutto nell’esprimere la disperazione dell’impotenza di fronte alla medicina dell’assurdo che nella sua fredda saccenza e ipocrisia porta alla difficile decifrazione tra ciò che è una cura benefica e una cura che ha invece l’esatto effetto contrario. Dilemma che resta all’interpretazione dello spettatore.
Uno spettacolo che sicuramente merita di essere visto sia per la bravura e la fama degli attori, quali Pagliaia e Gassman, che tra i pochi incarnano la tradizione teatrale italiana; sia per l’omaggio a un testo famoso del grande Buzzati, che mette in mostra le nostre fragilità in una surreale casistica di eventi, ma nel contempo così assurdamente possibili.