Circa trent’anni fa, durante una conferenza sulla fotografia di paesaggio, uno dei partecipanti domandò al docente un parere riguardante i sistemi di messa fuoco automatica e quale fosse il suo punto di vista sull’opportunità di non perdere il soggetto. Il professore rispose, in tono lapidario, che nessun sistema autofocus sarebbe mai stato più veloce del suo occhio. Rimasi per un attimo pensieroso, poiché a quel tempo la tecnologia autofocus era ancora poco distante dagli inizi. Interiormente però ero certo che, nel giro di poco, ci sarebbero stati veloci progressi in quel campo, il supporto di un sistema automatico avrebbe indubbiamente significato una differenza.
L’attimo è, per sua natura, fuggente. Mi è capitato talvolta, in circostanze dove era necessario agire con la massima rapidità per non perdere il soggetto, di non fare in tempo a sincronizzare il movimento dell’occhio con l’intervento della mano sull’obiettivo: non mi era possibile posizionare la ghiera di messa a fuoco sul punto di nitidezza con uno scatto così scoordinato. Oggi invece gli obiettivi incorporano motori in grado di muovere le lenti con precisione micrometrica. Inoltre, grazie a particolari algoritmi di lettura dell’inquadratura, i sistemi di rilevamento hanno tempi di risposta fulminei. Altre nuove funzioni poi, quali il riconoscimento facciale o di altri dettagli, offrono anche opzioni di intervento selezionabili dall’utente.
Per citare un esempio, recentemente è stata annunciata la prossima uscita di apparecchi dedicati ai fotografi sportivi dove, oltre ad ulteriori aggiornamenti in termini di software e di altre funzioni, si potrà selezionare quale tipo di attività sportiva si sta riprendendo. Tutto questo grazie a nuovi sistemi cosiddetti “predittivi”, dove il processore utilizza algoritmi di intelligenza artificiale in grado di riconoscere soggetti predefiniti, velocizzando tutti i procedimenti di calcolo e rendendo possibile analisi della scena inquadrata al millisecondo. All’interno dello strumento fotografico trova quindi spazio una nuova funzione che permette alla macchina di dare al professionista sportivo casistiche specifiche di rilevamento come, per esempio, calcio, basket e pallavolo. L’intelligenza artificiale, in questo caso, è stata “addestrata” a riconoscere il pallone, da sempre al centro dell’azione, e per concentrare il proprio interesse sui soggetti che gli stanno in prossimità. Caratteristiche così all’avanguardia sono indirizzate direttamente ai professionisti, per i quali agganciare, inseguire e non perdere il soggetto può fare la differenza, i gesti delle azioni sportive sono rapidi e irripetibili.
Tecnologia, esigenze sportive e professionali a parte, per chi si dedica alla ripresa di paesaggio o comunque ad altri generi di fotografia dove la velocità operativa non è prioritaria, c’è l’opportunità di concedersi una riflessione. Qui a volte basta un solo scatto, realizzato con tempi da slow photo, per capire che le fotografie sono capaci di evocare nella mente e nell’anima di chi le osserva sensazioni soggettive legate a quel momento. La capacità interpretativa dell’autore è il valore più prezioso. È questo un carico di informazioni che, sapientemente gestito, è in grado di creare un capolavoro di comunicazione visiva. Proprio per questo motivo, il fotografo ha la necessità primaria di formare un proprio modo di pensare la fotografia, attraverso un percorso di maturazione e crescita che lo porti non a raggiungere obiettivi, ma a sentire ogni momento come punto d’appoggio per passare al gradino successivo. Il principio di base nella formazione del “Pensiero Fotografico” è una visione della materia nel suo insieme: il soggetto non è ciò che si riprende con la macchina fotografica, ma è chi esegue la ripresa. Il fotografo è l’origine della comunicazione e questa si realizza soltanto se l’uso del canale comunicativo è efficace. Fotografare dunque è un’occasione per non perdere il soggetto, questo soggetto: me stesso.