Pierre De Coubertin, creatore dei giochi olimpici moderni, diceva: l’importante è partecipare. Il Milan però, non la pensa proprio così.
[oblo_image id=”3″]Per i rossoneri sembra quasi che l’importante sia vincere. Anzi, togliamo pure il quasi. In 21 anni di presidenza Berlusconi, la società di via Turati ha vinto ben 26 trofei, più di uno all’anno. Mica roba da poco.
L’ultimo, il ventiseiesimo, è arrivato solo una mese fa. Una sorta di regalo di Natale direttamente dal Giappone. Per la precisione da Tokio, dove il Milan ha disputato la finale del Mondiale per Club. Una finale giocata e vinta nel migliore dei modi, con un sonoro 4-2 ai danni del Boca Juniors. Proprio quel Boca Juniors contro cui nel 2003 la squadra di Ancelotti perse l’analogo torneo, allora denominato ancora Intercontinentale. Insomma, giustizia, o vendetta (come dir si voglia), è stata fatta.
[oblo_image id=”4″]Così come fu vendetta nel maggio scorso ad Atene contro il Liverpool. Anche contro gli inglesi il Milan aveva brutti ricordi, risalenti alla finale di Champions 2005. Ad Istambul i rossoneri persero in maniera assurda una partita che vincevano di 3 gol nel primo tempo. La ripresa vide il pareggio dei Reds e i calci di rigore decretarono poi la loro vittoria. Ma anche contro i ragazzi di Benitez, quelli di Ancelotti hanno saputo prendersi la rivincita. Ci sono voluti solo 2 anni, mica poi così tanto. L’impressione è che il gruppo vivesse e giocasse per prendersi queste rivincite. Che queste fossero degli obiettivi prefissati come, e forse più, della vittoria dei singoli tornei.
[oblo_image id=”2″]Insomma questo Milan sembra avere la rivincita nel sangue, uno spirito particolare che lo spinge oltre ogni ostacolo. La chiave di volta sta nel gruppo, un vero gruppo grazie anche ad Ancelotti ma alla società tutta, composto di gente capace di essere sempre affamata. Come se ogni partita fosse sempre un debutto, come se ogni successo fosse sempre un battesimo. Per capire a cosa ci si riferisce basta guardare Inzaghi, alla rabbia e alla gioia con cui esulta ad ogni gol. È un veterano (ha 34 anni), ma sembra un ragazzino al debutto, al suo primo gol, alle sue prime esperienze. Il calcio e lo sport, ultimamente si stanno svuotando di personaggi del genere, che lasciano il posto sempre più a ragazzoni cresciuti presto e male e per questo viziati e capricciosi. Ai primi bagliori di talento, li si riempie di soldi, e dopo solo 2 stagioni ad alti livelli, ma senza ancora essersi affermati, tali fenomeni, o presunti tali, si perdono e rimangono solo “eterni talenti”. A volte per tutto il resto della loro carriera.
Ma questo Milan, questo insaziabile Milan, con il suo ciclo (si fa per dire, 26 anni!) ha dimostrato e sta dimostrando che il calcio non è fatto da uomini, giocatori, allenatori. Questi passano, cambiano. Il calcio è fatto di progetti. Un insieme di investimenti, qualità, appartenenza, capacità di creare nuove avventure e di fissare ogni volta un nuovo obiettivo. Capacità di credere a come trasformarlo in realtà. Questo ennesimo trionfo del Milan (il diciottesimo internazionale, è record) è frutto insomma di una società capace di rinnovarsi, di stare al passo coi tempi, mantenendo comunque una tradizione, che non significa però immobilismo.