[oblo_image id=”1″] E’ sempre stato un anticonformista Michael Johnson. Già dalla prima apparizione il suo stile di corsa appariva inconfondibile. Busto pressochè eretto, testa alta, passi brevi: lo chiamavano soldatino. Ai puristi non piaceva, ma in realtà univa la potenza di un tir alla velocità di una Ferrari. Ancora oggi il suo primato nei 200 metri è inarrivabile. Lo conquistò ai Giochi di Atlanta strappandolo al nostro Pietro Mennea. Lo fece di prepotenza polverizzando il record precedente di oltre tre decimi: il suo 19’32” ha già festeggiato i 12 anni e sembra destinato a durare ancora a lungo.
Ma anche ora che ha appeso le scarpe al chiodo, Michael Johnson rimane fuori dagli schemi. Le inchieste sul doping in America continuano ad alzare un polverone: gli atleti sfilano nei tribunali, fioccano le squalifiche, vengono revocate le medaglie. I protagonisti si trincerano dietro inquietanti silenzi: anche quando vengono colti in fragrante, preferiscono negare l’evidenza rifiutando ogni ammissione. Michael Johnson è al di sopra di ogni sospetto. Eppure ha deciso di restituire la medaglia d’oro conquistata nella staffetta 4×400 alle Olimpiadi di Sidney del 2000. Il campione americano non deve ripulirsi la coscienza, piuttosto accetta di pagare per colpe di altri. In quella staffetta, infatti, era presente Antonio Pettigrew che ha confermato di recente l’uso per anni di sostanze proibite. E così senza aspettare l’intervento di una commissione speciale, Michael Johnson ha deciso di cancellare una vittoria senza più valore.“Non voglio quella medaglia. Ora mi sembra sporca e l’ho già rimossa dalla bacheca dove la conservavo insieme alle altre. Mi sento tradito da un compagno di squadra che consideravo amico”. Una scelta coraggiosa che vale come spot per le imminenti Olimpiadi di Pechino. Vincere vale tanto, non tutto. Non sempre un palmares più ricco regala la felicità perchè una medaglia senza gioia torna ad essere un inutile tondino di ferro. Un atleta dovrebbe capirlo da solo senza l’aiuto di giudici o tecnici da laboratorio. Grazie a Michael Johnson per avercelo ricordato.