[oblo_image id=”1″]E’ frequente che lemostre collettive di arte contemporanea presentino un difettofastidioso, l’incapacità di coordinare una moltitudine diopere interattive e sinestetiche, luci e suoni che si fondono econfondono, negando allo spettatore la possibilità didiscernere un messaggio dall’altro. Forza e debolezza di un’arte chenon sta più dietro una cornice, ma è il cuore stesso diun’utopia di vita messa in atto. E’ stata quindi una piacevolesorpresa, questa rassegna organizzata da Giacinto di Pietrantonio eGwy Mandelinck presso lo Spazio Oberdan: se il titolo lasciavapresagire una roboante collezione di sensazioni caotiche, la mostrasi muove fluidamente tra rumori suoni silenzi, fisicità eddimensione mentale.

[oblo_image id=”2″]D’altronde, Rumore: unbuco nel silenzio ècostituita dal meglio dell’esibizione che i curatori hanno presentatonell’estate del 2007 a Watou, nelle Fiandre, in occasione dellaventennale rassegna Estate in Poesia, eche la stampa belga ha giudicato non a caso la migliore dell’anno. Unesperimento molto riuscito, dunque, quello di illustrare il versodell’olandese Faverey (“Un buco nel silenzio: noise”)attraverso tutte le manifestazioni della sonorità, compresequelle che la negano e chiamano in causa il silenzio stesso,attribuendogli una comunicatività nuova, densa, pulsante. Nonsignifica che il predominio resti al visivo, seppure molte operepassino essenzialmente dagli occhi; allo stesso modo in cui lepoesie, seppure scritte, sono suoni in potenza che risuonano nellamente, così molte opere permettono di tramutare un senso in unaltro, intuire una comunicazione virtuale in assenza reale dellostimolo corrispondente.

[oblo_image id=”3″]Gliesempi sono molteplici, a volte provenienti da ambiti insospettabili.Se ci si aspetta da BillViola un uso parco edilatato del suono, in sintonia con le sue immagini sgranate ed isuoi tempi straniti che fanno perdere la cognizione dell’hic et nuncreale, è invece sorprendente il silenzio delle opere delgruppo Fluxus, da quegli agitatori che erano. YokoOnorinuncia al suono mettendo in mostra una glass harmonicaesistenziale, tanti personaggi del tempo e dello spazio che siriuniscono in forza della loro componente basilare, l’acqua fonte divita, l’elemento onnipresente che compone il tiranno quando il poeta,la rock star ed il politico; l’acqua che risuona dentro di noi e ciunisce, simbolo del flusso incessante della vita. Piùconflittuale il raccoglimento realizzato da JohnCage,che dopo il pianoforte preparato arriva a negare il senso stessodello strumento, capovolgendolo ed appoggiandolo su innumerevolistrati di feltro morbido: pleaseplay,prova a suonarlo chiede l’autore; ma si può solo immaginare ilsuono, risucchiato com’è in quella sorta di nido maternorappresentato dal tessuto morbido, soglia prima della quale non c’èautoaffermazione che possa valere.

[oblo_image id=”5″]Altrevolte, il suono si arriva quasi a sentirlo. Anche se non c’è,viene distintamente evocato. Le mani racchiuse nei nove schermi diMelik Ohaniansbattono tra loro, si sfregano e contorcono, o semplicemente sioffrono inermi alla contemplazione; ma proprio quel silenzio, afronte di tanto moto, è sintomatico di un’impotenza, di unostraniamento dalla propria identità che incute terrore.Altrettanto mentale eppure più ironica la visione dei Cento Redi Diego Perrone,monarchi che l’autore ha forzato al sorriso, liberandoli del clichédell’austerità imposta ed imponendo loro un’ineffabile ritoccodigitale; è significativo che le immagini siano solonovantanove, forse a significare che il centesimo sorriso reale èil nostro, che abbiamo la possibilità addirittura di ridere.

[oblo_image id=”6″]Siamonel regno del rumore aggressivo e baldanzoso invece quando entriamonella saletta dedicata a LaraFavaretto, lacui risata echeggia stavolta pienamente rotonda attorno a noi, comegià aveva fatto la risata di De Dominicis alla GalleriaSargentini di Roma, come già ridevano gli anarchici di fineOttocento in faccia alle istituzioni sclerotizzate. Suono comeliberazione, come invito a non irrigidirsi nella serietà diuna posizione ideologica, persino quella della stessa arte.

Unaliberazione contro l’ideologia è proprio quella che rivendicaJimmie Durhamprendendo a sassate il frigorifero in mezzo al cortile; la ribellionecontro il capitalismo, o più semplicemente la forza bruta edistintuale che si prende una rivincita sulla funzionalità edil razionalismo. Le cose marciscono, è nella loro natura.

Lanatura è un altro elemento di forte presenza all’interno dellarassegna, con l’ansiogeno confronto tra cervo e lupo di MirceaCantorche crea un silenzio tesissimo, un equilibrio precario in cui èin gioco la vita stessa dei partecipanti; una versione piùsurreale eppure realmente accaduta è invece la storicaperformance di JosephBeuys allagalleria Renè Block di New York, dove l’artista sciamano sirinchiuse per tre giorni in compagnia di un coyote, riuscendo adinstaurare col tempo ed una silenziosa comunicazione un rapporto disintonia, che si potrebbe quasi definire amichevole.

E’ con questa immagine che vogliamo riassumere la rassegna,all’insegna della speranza che l’arte possa trovare dimensioni nuoveed inedite, per riassumere elementi contrastanti e sensazionidifferenti in un unico linguaggio che investa la vita stessa.

Rumore:un buco nel silenzio
fino al 25 maggio 2008
Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, Milano
tutti i giorni tranne il lunedì: 10-19:30, martedì egiovedì fino alle 22:00
biglietto:intero euro 6,20 – ridotto euro 4,1o; ingresso libero il primomartedì del mese
curatori:Giacinto di Peitrantonio, Gwy Manderlinck
catalogo:Electa
ufficiostampa: Provincia di Milano/Cultura
informazioni:02/77406300

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