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Prima dell’emergenza del Coronavirus, che ha comportato la chiusura improvvisa e forzata di tutti i musei italiani e della Capitale, si è svolta presso il Museo di Roma a Palazzo Braschi la mostra Canova Eterna Bellezza, riscuotendo una grande affluenza di visitatori.

Realizzata in collaborazione con il museo Antonio Canova di Possagno e con l’Accademia Nazionale di San Luca di Roma, l’esposizione ha riunito oltre 170 opere del celebre artista, suddivise per la precisione in 13 sezioni.

Un maestro che nell’Urbe soggiornò molto a lungo, fino a diventare in pratica un cittadino adottivo: lavorò instancabilmente nel suo atelier di Via delle Colonnette, dove era anche solito mostrare a lume di candela gli ultimi lavori ai signori che venivano a trovarlo. E proprio tale atmosfera si è cercato di ricreare in una delle stanze adibite all’evento, lasciando a disposizione del pubblico diverse candele elettriche per ammirare certi capolavori in penombra e illuminati solo da poca luce a Led.

Tra quelli di maggior rilievo, per quanto riguarda i dipinti, spicca il ritratto di Pio VI Braschi, ovvero proprio colui che ordinò la costruzione del palazzo ospitante il museo, oppure quello dello stesso Canova, eseguito dal collaboratore Martino De Boni.

Sia le tele che i disegni e le sculture di Canova sono attraversate dai principi del neoclassicismo, corrente artistica perseguita da quest’ultimo con passione e convinzione, che consiste nel prediligere la semplicità compositiva, l’armonia, l’equilibrio e la purezza formale.

Regole che erano alla base delle statue e dell’arte dell’antichità in generale, che però Canova si rifiutò sempre di imitare e di riprodurre alla lettera al pari di una copia. In certi casi egli attraverso le sculture riuscì a trasmettere anche l’intensità del sentimento, come per esempio nella rappresentazione de La Maddalena: la santa viene raffigurata accovacciata, con il capo reclinato e le lacrime che le rigano il viso, con in mano un crocefisso e un teschio a lato.

Di una bellezza decisamente meno espressiva e imperturbabile appare l’ Amorino Alato (1794-97), o la versione in gesso di Ebe (1806).

Ha concluso in grande la mostra la sala dedicata alla Danzatrice con le mani sui fianchi, scultura proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo e posta per l’occasione su un piedistallo che ruota, in modo da vederla riflessa in tutte le sue parti sugli specchi posti su tutte le pareti dell’ambiente circostante.

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