[oblo_image id=”1″] Per raccontarsi con carta e penna, ha scelto la solita via. Simulare di girare intorno, aprendo parentesi tonde, quadre – talvolta anche graffe – facendo credere di rimanere sempre attento a non avvicinarsi troppo l’essenza di se stesso. Ed invece tratteggiando pennellata dopo pennellata il proprio mondo, Francesco Guccini si racconta in un’opera a metà strada tra autobiografia e saggio storico: sempre in tumultuoso movimento tra l’anelata, rifiutata e nuovamente rincorsa Modena e Bologna, semplicemente eletta con i suoi colli e la sua via Paolo Fabbri. Si intrecciano personaggi – indistintamente famosi e non -, note, ricordi, riflessioni appena accennate. E speranze. Sì, perché Non so che viso avesse è tutto fuorché un estratto di nostalgia, non c’è spazio per abbandonarsi al passato. Non è vero che si stava meglio prima, piuttosto è vero che vale la pena di ricordare ciò che è stato fatto. Non so che viso avesse ma si potrebbe anche dire non so che lavoro facesse: perché capire Guccini è difficile ma possibile, definirlo no. Cantautore, compositore, scrittore, poeta, sociologo, lessicologo, saggio, profondo conoscitore dei propri tempi in una tavolozza dove ogni categoria sfuma come le tonalità dei colori di un pittore quattrocentesco. Classicheggiante se non classico. Inesorabilmente attuale.

Autore: Francesco Guccini
Titolo: Non so che viso avesse
Editore: Mondadori

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