Il mondo del calcio è pazzo, ma proprio pazzo. Cosa debba fare un allenatore per essere licenziato non lo sa nemmeno lui. A volte è sufficiente… non fare nulla.

In ben due circostanze Gigi del Neri, attuale trainer dell’Atalanta, è stato licenziato prima che la stagione cominciasse. È accaduto nell’estate del 1998 quando, reduce da tre anni di successi a Terni (due promozioni e una salvezza consecutive, doppio salto dalla C2 alla B), il tecnico di Aquileia viene ingaggiato dall’Empoli in serie A per poi essere rimosso senza esser mai andato nemmeno una volta in panchina in un incontro ufficiale. Sei anni dopo, nel 2004, la storia si ripete. Dopo un altro ciclo straordinario (4 anni), stavolta alla guida del Chievo Verona (storica promozione in A e quinto posto all’esordio in massima serie) Del Neri sfiora la panchina della Nazionale (dove vi approderà Lippi) e, non trovando posto fra le grandi del campionato italiano, è costretto ad emigrare. Lo assume il Porto, fresco Campione d’Europa (Mourinho passò al Chelsea), salvo poi cambiarlo senza nemmeno aver finito il precampionato.

Figuriamoci poi se un allenatore non raggiunge gli obiettivi posti dalla società, o comunque, se delude per un periodo di tempo più o meno lungo. Non a caso in questa stagione sono già stati 7 i cambi di panchina (solo in serie A). Nel calcio si sa, ci sono due variabili: i risultati e il come li si raggiunge, cioè il gioco. Se i primi arrivano, tutti sono pronti a dar ragione a chi li ottiene. Qualora però i risultati siano scarsi, subito piovono miriadi di critiche sul gioco stesso ma non solo. Gestione dello spogliatoio, richieste di mercato, rapporti con la società, con la stampa eccetera, eccetera.

[oblo_image id=”3″]Beh, cosa debba fare Edy Reja per essere licenziato dal Napoli proprio non si capisce. I risultati finora sono stati dalla sua parte. Protagonista della rinascita azzurra, ha centrato il doppio salto dalla C1 alla A (dopo aver fallito, con tutte le attenuanti del caso, l’assalto alla B al primo colpo, cosa che tutti dimenticano), ben comportandosi pure nel girone d’andata della massima serie. Ora però sembra essere andato in crisi. I rapporti apparentemente idilliaci col presidente De Laurentiis, sembrano essersi incrinati in maniera definitiva. Il filotto negativo della squadra (non vince dal 9 dicembre, 1-0 striminzito contro il Parma dopo il capitombolo di Bergamo 5-1), l’involuzione di molti giocatori (da cosa dipende?) e del gioco complessivo della squadra, sempre più affidato all’inventiva dei singoli, sembrano aver spazientito definitivamente il patron deciso, ora più che mai, a sollevare dall’incarico il tecnico. Almeno così pareva fino a domenica scorsa.

[oblo_image id=”7″]Dopo il 2-2 con la Lazio (comunque un pareggio con una squadra più attrezzata del Napoli sul piano tecnico, al di là di come e quando sia giunto) arrivò la pesante sfuriata (la peggiore, ma non la prima) che fece sembrare imminente l’atto estremo. L’altro ieri invece, dopo la deludentissima sconfitta contro l’ultima della classe, il produttore cinematografico ha sorprendentemente confermato, almeno a parole, la guida tecnica. Il Cagliari non vinceva dal 30 settembre (1-0 contro il Siena), seconda delle due vittorie ottenute fino a l’altro giorno appunto. L’altra era arrivata sempre contro il Napoli alla prima giornata di campionato: un netto 2-0 al “San Paolo” in una partita bruttissima giocata malissimo da entrambe le squadre. Allora si disse: “è solo la prima, calma”. Beh, ora è la ventesima, che si fa?

[oblo_image id=”6″]Insomma il fanalino di coda del campionato ha conquistato 6 punti su 6 disponibili contro gli azzurri. I partenopei domenica, hanno anche fatto esultare per la prima volta in serie A il tecnico sardo Ballardini. In undici panchine in massima serie (9 nel 2005-06 e 2 quest’anno, sempre alla guida degli isolani) aveva finora messo insieme quattro pareggi e ben sette sconfitte. Per trovare una vittoria di Ballardini bisogna tornare indietro al 15 maggio 2005 visto che l’anno scorso alla guida del Pescara in B raccolse solo 2 pari e 4 ko. Allora allenava la Sambenedettese in serie C1 quando vinse 2- 0 a Padova. Poi il buio e l’altro giorno… la luce fuori dal tunnel. Insomma Reja stavolta, l’ha combinata proprio grossa, più grossa, se possibile, del 5-1 di Bergamo.

Il Napoli dal canto suo, checché se ne dica di questa prima e contorta stagione in serie A dopo gli anni bui passati fra purgatorio, la B, e inferno, la C, quest’anno non riesce proprio a trovare una sua identità, soprattutto fuori casa. Dopo un buon inizio, 4 punti nelle prime 2 trasferte ( 3 a Udine, 1 ad Empoli), ha colto solo due pareggi (4-4 con la Roma e 1- 1 a Siena) nelle ultime otto gare giocate lontano dal “San Paolo”. Se a questo si aggiungono anche i punti persi per strada fra le mura amiche (3 con il Cagliari, 2 con Reggina, Genoa e Torino) non si capisce come si possa giudicare positiva la stagione degli azzurri, che, dopo aver mostrato a sprazzi le sue grandissime potenzialità, si è seduta e rilassata troppo, guardandosi allo specchio invece di crescere e migliorare. Con questo non vogliamo dire assolutamente che gli azzurri avrebbero dovuto vincerle tutte, ma oltre ai punti persi è stato spesso il modo in cui li si è persi a far mangiare le mani. I tanti elogi hanno forse montato la testa a Lavezzi e compagni che, invece di accontentasi di qualche sporadico numero pensando di essere già campioni affermati al primo dribbling riuscito in Italia, dovrebbero allenasi e limare i loro tanti difetti molto evidenti nei periodi di difficoltà.

[oblo_image id=”2″]Di difetti ne ha a bizzeffe anche Reja che, a 63 anni suonati, dovrebbe essere soprattutto un tecnico tanto esperto da saper gestire bene situazioni come queste, molto difficili dal punto di vista psicologico. Invece, proprio su questo aspetto, sembra essere carente. Oltre a varie annotazioni tecniche (perché non far giocare mai con continuità gente come Calaiò, Dalla Bona e Rullo?) e tattiche (il modulo va forse cambiato, la difesa fa acqua da tutte le parti) che si possono appuntargli, è proprio sul piano della testa che Reja sembra inappropriato, soprattutto ad una panchina come quella azzurra. Il Napoli ha tifosi attaccatissimi alla squadra ma anche molto esigenti visto il loro passato (sportivo) glorioso e il loro presente (soprattutto non sportivo) molto drammatico. Proprio in una piazza del genere e con una rosa piena di giovani (per giunta titolari) l’aspetto psicologico è più importante di ogni altra cosa. E invece l’allenatore crea problemi di spogliatoio insistendo su elementi fuori forma pur di non concedere occasioni vere (non spiccioli di partita qua e là) a giocatori voluti, ben pagati e di livello, mandati spesso in panchina se non addirittura i tribuna.

[oblo_image id=”5″]La crisi dura ormai da due mesi ma forse è nata molto prima. Mai il gioco del Napoli ha convinto, ma i risultati arrivavano e tutti tacevano. Solo ora che questi benedetti risultati (l’unica, ma evidentemente forte, ancora di salvezza di Reja) iniziano a scarseggiare, si levano le prime critiche di massa ad un allenatore che non ha forse mai convinto fin in fondo. Il problema non nasce in serie A quando si perde a Bergamo o con il Genoa, il problema nasce forse in serie C quando si vinceva solo 1-0 con la Massese o la Lucchese o quando si pareggiava 0-0 con la Sassari Torres. Per la rosa che aveva quella squadra, l’allora Napoli Soccer doveva stritolare tutti con risultati larghi che non avrebbero significato solo accademia e spettacolo, ma molto, molto di più. Con quei risultati striminziti si è andati comunque avanti perché alla fine un 1-0 o un 5-0 portano sempre gli stessi punti: 3. Ebbene, ma come dicevamo all’inizio, non contano solo quelli, conta anche il gioco. E il gioco non viene all’improvviso, nasce da lontano. In genere da un ritiro pre-stagione, ma a volte, anche meglio, da più anni di permanenza di un tecnico su una stessa panchina.

[oblo_image id=”8″]Beh, è questo che chi scrive appunta a Reja, l’assenza di un progetto tattico nato dalla C e giunto alla A, modificato sì con le varie campagne acquisti ma pur sempre valido come struttura solida pronta ad accogliere nel miglior modo i nuovi innesti. E invece si è badato troppo, anzi solo e soltanto al sodo e ai 3 punti maledetti: questo è il risultato. Una squadra che fin quando c’era una sopportabile alternanza di vittorie, pareggi e sconfitte reggeva in classifica e veniva pure applaudita, ma che al primo filotto negativo è entrata in crisi (anche se Marino non vuole sentirne parlare) come una provinciale qualunque, abituata a saltare dalla B alla A ogni due anni, che si accontenta di ciò che ottiene e con una guida tecnica sempre traballante. L’equilibrio psicologico della squadra sembra crollato.

Troppe le cadute in cui il Napoli è inciampato (sconfitta a Castellammare di Stabia in serie C, il crollo di Crotone in B) e troppe le rinascite che sono seguite alle comunque tante delusioni della gestione Reja. Insomma, i risultati li ha ottenuti ma di gioco non ne ha mai espresso uno suo, preciso, definito e, soprattutto, convincente. Diciamo pure che non ne ha mai espresso uno che sia uno. Ora che alla perenne assenza di gioco (l’eterna malattia del Napoli di Reja) si aggiunge anche la scarsità di risultati, non sarebbe ora di darsi una mossa in società? O vogliamo continuare a giustificare e difendere Edy dopo l’ennesima cocente delusione?

[oblo_image id=”4″]Il buon Edoardo è sicuramente una persona rispettabile, tutta d’un pezzo, un esponente di un calcio lontano, diverso. Ma il suo curriculum non è pieno né di trofei né di successi. Le promozioni dalla B alla A sono quattro, più il quella dalla C1 alla B proprio con il Napoli. Insomma 5 salti di categoria, non pochi, ma spalmati in 29 anni di carriera. Con tutto i rispetto per il furlan, uno degli ultimi esordienti in serie A, Mimmo Di Carlo, in quattro anni da allenatore ha conquistato 2 promozioni consecutive (doppio salto dalla C2 alla B) e ha poi sfiorato per ben 2 volte la A (battendo anche la Juve) alla guida del Mantova. Al quinto anno appena, ovvero in questa stagione, ha esordito in massima serie (a Parma) quando invece Reja ci ha messo ben 21 anni (stagione 2000-01 col Vicenza). Ce ne poteva mettere 18 ma nel 1997 Corioni (presidente del Brescia) lo allontanò dopo la promozione così come accadde nel 2004 a Cagliari quando fu Cellino ad sollevarlo dall’incarico. Significativo anche il fatto che la massima serie, due volte su due, se l’è dovuta conquistare con le sue forze, grazie ad una promozione l’anno prima, senza esser mai stato chiamato direttamente da una società di serie A.

Gli esempi che abbiamo portato sono ovviamente solo esemplificativi. Certo non vogliamo affermare che un allenatore è meglio di un altro, possiamo solo avere simpatie ed esprimere preferenze come qualunque altro individuo al mondo, ma i risultati di Reja, i tanto cari risultati, che fanno poi la carriera di un giocatore o di un allenatore, non erano così formidabili prima di venire a Napoli (dove ha leggermente arricchito una bacheca abbastanza scarna) e certo non facevano sperare in una lunga epoca di successi e trofei. Ma comunque, in un modo o nell’altro ha svolto il suo compito, ha riportato questo Napoli nel campionato che merita, ma ora (meglio se a luglio scorso) si faccia (o lo facciano) da parte, e ceda il posto a qualcun altro con un curriculum più consistente che sia “garanzia” (magari bastasse il curriculum, le garanzie nel calcio e nello sport non esistono) di gioco più che di risultati, che tanto poi questi vengono di conseguenza, in questo caso senza passare da scempi come quelli di domenica o da pazzesche altalene che attentano alla salute dei tifosi più deboli di cuore. Grazie di tutto Reja, ma ora vada, il prossimo compito non è per lei.

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