[oblo_image id=”1″] In principio fu Papa Urbano. Un imprenditore ruspante che si affacciava dalla balconata per salutare il popolo granata festante, convinto di aver trovato il condottiero giusto per tornare grande. Sono passati meno di cinque anni, sembra trascorso un secolo. Cairo ha annunciato ufficialmente di voler vendere il Toro. Dopo una promozione, un paio di salvezze acciuffate per i capelli, una retrocessione sanguinosa ed un traumatico ritorno nel campionato cadetto, dice basta. Tuttavia, non sono i risultati a convincerlo a fare un passo indietro. E’ l’umore della piazza ad essere stato decisivo. La contestazione è diventata l’unica fedele campagna di viaggio: il resto è cambiato schizofrenicamente. Si sono succeduti vorticosamente dirigenti, allenatori e giocatori con un’unica costante: hanno deluso. La parte più rassegnata della tifoseria si è convinta che vi sia una maledizione capace di svuotare di ogni energia e di ogni virtù chiunque si avvicini. Non importa se prima hanno mostrato e dopo mostreranno qualità inequivocabili. Al Toro falliscono. E flop dopo flop, Cairo si è ritrovato solo. Ora scrive la parola fine sulla storia con tono dimesso e malinconico. Sottolineando di aver investito 30 milioni sul Toro e di non aver intavolato alcuna trattativa con potenziali acquirenti. Per il semplice fatto che non vi sono potenziali acquirenti. Esclusa quindi la pista Gaucci, rimane un interrogativo. Ma si può vendere, se non c’è qualcuno che vuole comprare? E siamo certi che sia conveniente mettere in piazza vicende societarie così spinose quando il campionato è ancora in corso e l’obiettivo promozione, magari passando dalla porta secondaria dei play off, è ancora raggiungibile? Misteri, rimpianti e paure. Il solito copione per il Toro e i suoi tifosi.

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