Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale contro la violenza alle donne, e in tutta Italia sono previste manifestazioni, dibattiti incontri e convegni, mentre a Roma sabato 24 un nutrito gruppo di sigle di associazioni ha indetto una manifestazione di piazza nella capitale (tutte le informazioni al sito http://www.controviolenzadonne.org/ e per una panoramica nazionale http://www.womenews.net/).

Ma in particolare ci sembra interessante segnalare una iniziativa, promossa da una istituzione locale, che ha il pregio di coinvolgere direttamente le giovani generazioni sui temi della discriminazione e dello stereotipo sessista, che molto ha a che fare con la violenza di genere: l’analisi della pubblicità e del suo eventuale contenuto sessista.

Bisogna fare un passo indietro: correvano gli anni ’70, e sebbene la pubblicità già fosse un impero (e un imperativo per l’economia) i films in tv erano ancora senza interruzioni, e c’era chi provava a obiettare con forza sui messaggi veicolati dalle reclames.

In particolare un piccolo giornale femminista, la storica testata Effe, lanciò una campagna che fece molto discutere: una pagina completamente bianca, con al centro un’unica scritta: “Questa pagina aspetta una pubblicità che non offenda le donne”.

Già alcuni organi di stampa, come per esempio Lotta Continua, avevano iniziato a rifiutare pubblicità da parte delle industrie considerate inique, o nemiche; alcune radio libere avevano anch’esse dichiarato di non volere vivere con pubblicità ‘capitalistiche’, lanciando nel mondo prevalentemente giovanile campagne di autofinanziamento e iniziando quello che oggi chiameremmo boicottaggio dei prodotti non etici.

Ma mai nessuno ebbe il coraggio, e l’interesse specifico, di puntare il riflettore sul sessismo della pubblicità, come Effe aveva fatto. In fondo che problema c’è se vicino ad una macchina, un frigo, una birra, c’è anche una bella donna che impreziosisce con la sua bellezza la merce che si offre?

E’ in qualche modo figlia, trentanni dopo, di questa solitaria azione di Effe l’iniziativa assunta dall’Assessorato alle Pari opportunità della Provincia di Genova, dal titolo “Io scelgo – Rifiuto la pubblicità discriminante”, un progetto per stimolare una comunicazione rispettosa dell’immagine e dei ruoli di genere e l’attenzione di donne e
uomini sui contenuti culturali della pubblicità, stigmatizzando l’uso di stereotipi negativi.

Innegabile che lo stimolo principale per agire sia stata la bagarre causata dalla fotografia del ‘branco’ che incombe sulla modella con la schiena a terra, proposta con sapiente lucidità dagli stilisti Dolce e Gabbana che fece infuriare un po’ tutte, facendo intervenire con velocità impressionante l’Osservatorio dell’Immagine dell’Instituto de la Mujer,(ente parte del Miniestro del Lavoro iberico) che si occupa di monitorare la rappresentazione della donna nei media. L’Istituto dichiarò che questa pubblicità incitava alla violenza contro le donne, perché “se ne può dedurre che è ammissibile l’uso della forza come modo di imporsi alle donne” e che questo tipo di immagine “rafforza atteggiamenti che al giorno d’oggi sono un crimine, attentano contro i diritti delle donne e ne denigrano l’immagine“.

La novità del progetto genovese non sta tanto nell’occuparsi del sessismo insito sin dagli albori nel progetto di comunicazione pubblicitaria (il prodotto si vende meglio se erotizza, e cosa meglio per erotizzare di un bel pezzo di figliola?) ma nel fatto che la sensibilizzazione e la discussione la si vuole far partire dalle prime vittime e protagoniste della pubblicità: le giovani generazioni.
È necessario lavorare su diritti e stereotipi a partire dalle scuole primarie e secondarie – spiega l’Assessore Marina Dondero -. Nel convegno che si terrà nel novembre prossimo verranno presentati i risultati delle ricerche e dei lavori svolti e si cercherà di dare continuità e operatività al tema delle discriminazioni. Ci auguriamo di poter coinvolgere anche pubblicitari e società, per allargare il ragionamento, aprire la discussione con chi costruisce la pubblicità e con i suoi destinatari, evidenziare le situazioni in cui cittadini e cittadine rifiutano un certo tipo di messaggi. Ci interessa una riflessione su mass media e comunicazione, sia per i casi eclatanti sia per quelli meno di impatto, ma che veicolano messaggi anche peggiori, perchè magari edulcorati e in apparenza meno aggressivi o brutali, visti con più simpatia pur essendo devastanti. La riflessione può essere ampliata agli scenari televisivi, al giornalismo, basti vedere lo spazio che si riserva alle opinioni delle donne e su quali argomenti stereotipati”.

Parte attiva del lavoro sono le studentesse dell’Istituto superiore “Gobetti”, che stanno preparando l’elaborazione e somministrazione di un questionario sulla pubblicità di genere e una mappa concettuale per osservare l’evoluzione storica del fenomeno nelle sue manifestazioni.

Ma chiunque può fare la sua parte, segnalando la pubblicità che ritiene offensiva o discriminatoria tramite l’apposita scheda sul sito http://www.provincia.genova.it/

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