[oblo_image id=”1″] Proprio in questi giorni ricorre il 62 esimo anniversario di quella famosa domenica goriziana vissuta con immensa gioia e che, forse per pura combinazione, ripercorre un sogno recentemente conquistato e una speranza per un futuro piu’ equo e meno discriminante. Nella globalizzazione moderna sembrerebbe davvero inutile tentare di riportare alla memoria cosa accadde di tanto memorabile in quella calda domenica di agosto di un’Italia uscita dal secondo conflitto, praticamente a pezzi e dilaniata, dopo una lenta e dolorosa agonia; sembrerebbe inutile eppure qualcosa accadde! Qualcosa che calamito’ l’attenzione generale e fece riflettere a lungo su cosa volesse realmente significare l’assurdita’ di quanto fatto dalle “potenze vincitrici” nei nostri confronti. Per comprendere meglio il significato di tali affermazioni, occorre fare un primo passo indietro, quando nel fatidico e funesto 16 settembre 1947 fu reso esecutivo il Trattato di Pace di Parigi dove, come gia’ detto in precedenza, dopo una lenta e dolorosa agonia per le popolazioni interessate, le modifiche di confine che interessavano il nord-ovest e, soprattutto, il nord-est, trovarono, con somma gioia di quanti li appoggiarono fino all’esasperazione, la loro applicabilita’ e furono parti integranti degli stati loro assegnati. La nascita della repubblica socialista di jugoslavia fu beneficiata moltissimo da questo trattato al punto di lamentarsi per non aver avuto le restanti briciole a cui il comandante Tito ambiva e dopo l’iniziale appoggio di tutti gli organi comunisti per poi prendere le distanze dopo la rottura con Stalin e l’avvicinamento, di contro, alle potenze del Patto Atlantico con il classico “chi tace acconsente”, si arriva alla cosiddetta fase di stallo, quella cioe’ dove i vecchi territori appartenuti al Regno d’Italia ma che ora, per forza di cose, fuori dal territorio nazionale e conseguentemente facenti parte della jugoslavia, entrarono in una densissima nebbia culminata da un possente ed infinito vuoto culturale e sociale che ne determino’ la scomparsa totale in un confine che rappresentava un vero e proprio ermetismo epocale verso l’occidente che all’epoca rappresentava il pericolo del capitalismo autodistruttivo e di tutte le conseguenze che avrebbe potuto causare. Furono quasi tre anni di isolamento totale in cui, tutti coloro che da oriente ad occidente potevano vantarsi di avere amici o parenti (praticamente tutti) nel rispettivo territorio circostante, erano in evidente difficolta’ per avere notizie e rassicurazioni sulle condizioni di salute dei loro cari e nello stesso tempo anche delle condizioni di vita. Fu cosi’ che si arrivo’ ad una calda ed afosa domenica, il 13 agosto appunto, quando venne informata la cittadinanza goriziana che, per intercessione governativa con conseguente accordo con le autorita’ jugoslave, sarebbe stato possibile riabbracciare i propri cari in quella giornata, recandosi al valico confinario di Casa Rossa ed attendendo con pazienza il proprio turno per poter verificare la disponibilita’ di poter avere l’incontro. Alcuni ci riuscirono, ma le operazioni erano veramente difficoltose e lentissime al punto che sarebbe stato praticamente impossibile poter accontentare tutte le persone disposte in paziente attesa aldila’ delle rispettive frontiere. Ad un certo punto, la notizia che inizio’ a girare con forza e sempre piu’ convinzione, era che ci sarebbe stata una totale apertura senza vincoli e discriminazioni per poter attraversare la sbarra doganale e la folla che nel frattempo aumentava a vista d’occhio, resto’ quasi attonita quando i miliziani negarono loro l’accesso per motivi di ordine pubblico. Quasi contemporaneamente pero’, una gigantesca onda silenziosa fece iruzione ed entro’ in territorio italiano con impeto e forza quasi a rammentare come nemmeno il piu’ sanguinario dei regimi potesse impedire la determinazione della forza di volonta’ che regna in ciascuno di noi. Morale della storia? Qualche miliziano sparo’ dei colpi in aria a scopo intimidatorio per fermare l’onda, ma il risultato fu un vero e proprio boomerang al punto che la folla entro’ ancora piu’ velocemente, a questo punto senza piu’ ostacoli. E finalmente fu vera gioia, quando si poterono riabbracciare in tantissimi e tutti divisi dalla cortina di ferro che segrego’ ingiustamente la provincia goriziana; in moltissimi si ritrovarno nelle osterie e nei ritrovi e tutti bevvero in compagnia nel piu’ rasserenato ottimismo mentre le massaie che curiosamente affollarono i negozi delle vie di Gorizia, scoprirono un bene di prima necessita’ che il paradiso socialista jugoslavo aveva fino a quel momento negato e nascosto agli usi pratici; le scope di saggina! Il passaparola fu talmente veloce che prima del tramonto, quando i villici ordinatamente fecero ritorno nei loro paesi oltre confine, gran parte di loro portava con se questo preziosissimo bene da sfoggiare come souvenir dell’occidente ma anche come determinazione e grande forza di volonta’ nel desiderare un modus vivendi piu’ consono ed affine a se stesso. Le scope di saggina, come ci ha raccontato questo curioso ed intrigante episodio successo molti anni or sono, devono rappresentare per forza di cose la nostra voglia di fare e di raggiungere un determinato obiettivo, ma soprattutto per agire con determinazione su qualsiasi ostacolo ci si trovi di fronte, di qualsiasi grado di difficolta’ esso sia!

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