[oblo_image id=”5″]La personalità poliedrica di Carlo Levi (1902-1975) oggi viene ricordata soprattutto in correlazione a Cristo si è fermato a Eboli (1945), ovvero la sua opera letteraria più conosciuta, tradotta in numerose lingue e impostata sulle forti suggestioni riscontrate all’epoca nelle terre del Sud.
Oltre ad essersi distinto nel campo politico (in gioventù come militante antifascista e nel 1963 come Senatore della Repubblica), egli ha dimostrato pure una indiscutibile passione e propensione verso l’arte della pittura.

[oblo_image id=”4″]I dipinti di maggior rilievo risalgono agli Anni Trenta e Quaranta. Nel corso dei vari soggiorni a Parigi (1932/1934), Levi realizza una serie di paesaggi sulla capitale francese. Qui i toni sono perlacei e il cielo grigio-azzurro “pare stendersi per infinite migliaia di leghe visibili in prospettiva sulle nostre teste”1, impressione che l’artista ha riscontrato osservando l’atmosfera delle grandi metropoli del Nord Europa. Lo stile dei suoi quadri cambia però radicalmente dal 1931 quando, giunto nella capitale, partecipa alla prima Quadriennale e comincia ad entrare in contatto con i fautori della Scuola Romana. In quel periodo conosce e frequenta Renato Guttuso, mentre non sono documentati i suoi eventuali rapporti diretti con altri esponenti di tale movimento, ovvero con Fausto Pirandello, Mario Mafai e Antonietta Raphael. Certa è invece la forte influenza che ebbe il gruppo sul proprio modo di dipingere: Levi infatti non si limita a riprenderne le tematiche, ma decide di indirizzarsi anche lui verso un realismo non solo illustrativo, bensì basato sull’immediatezza del sentimento e sulla semplicità della percezione. Si tratta del cosiddetto Naturalismo Essenziale che egli stesso teorizza in un testo, scritto nei primi anni Trenta e firmato con lo pseudonimo di E. Sacerdoti. Leggendolo si evince che il pittore, stanco degli espedienti formali della sua prima maniera e avendo ormai esaurito ogni tipo di idea, ha presto sentito la necessità di intraprendere un nuovo percorso e di revisionare i valori adottati.

[oblo_image id=”1″]Da quel momento, insomma, le schiariture delicate e la pacata composizione delle immagini dell’esperienza francese vengono sostituite da colori accesi e da prospettive imperfette e di genere espressionista. Paesaggio romano con archi rossi, ad esempio, ricorda le vedute della città di Mafai e soprattutto di Scipione, senza il quale “non avremmo scoperto Roma nelle sue architetture più segrete, nelle pieghe dei suoi zampilli, neanche l’odore del suo fiato sciroccoso in certe notti a Fontana di Trevi, l’improvvisazione barocca della sua nuvolaglia mattutina…”2. La volumetria compatta di Figura, invece, ricorda il segno di Casorati mentre la forma del viso allungata oltre le proporzioni naturali, insieme allo sguardo assente della donna, rimandano inconfondibilmente a Modigliani. Un accenno particolare meritano le nature morte composte sempre in quel decennio: Il frutto rosso, Natura morta con melograni, Natura morta con bottiglia sono caratterizzate da colori molto decisi ed appariscenti, dalla trasparenza dello sfondo e dagli oggetti distaccati in primo piano.

Talco e biscotti (1932) e Amoroso contrario di Morandi (1937), inoltre, possono essere paragonate a dei simili soggetti scipioniani, a causa della medesima dinamicità, dell’ispessimento delle paste e delle pennellate dall’andamento ondoso.

[oblo_image id=”2″]La visione soggettiva del mondo di Carlo Levi emerge al contrario nei ritratti e negli autoritratti, consistenti in una presa di coscienza dell’io rispetto all’altro da sé. A tale filone egli si è dedicato con costanza nel corso di tutta la vita, immortalando la fisionomia di affermati personaggi quali Moravia (1932), Leone Ginzburg (1933), De Pisis (1933), Anna Magnani (1954).

Con il sopraggiungere della guerra, le ambientazioni fissate sulla tela diventano più malinconiche, ma comunque attraversate da aspetti della realtà vicina. Poco prima dello scoppio del conflitto, viene esiliato dal governo fascista in Basilicata, poiché sostenitore del movimento rivoluzionario “Giustizia e Libertà”. Il confino gli è utile per trovare una diversa fonte di ispirazione, originata dall’osservazione della gente del luogo e dalla natura del paesaggio lucano. I Sassi di Matera e le montagne della regione meridionale vengono rappresentate con vivide gradazioni in La Valle delle Grotte (1936)[oblo_image id=”3″] e in Grassano come Gerusalemme (1935). I popolani vengono ritratti con molta più oggettività rispetto alle celebrità o ai conoscenti che avevano già posato per lui, forse perché appartenenti a un mondo che egli sente lontano, estraneo ma comunque reale.

Lo stato di belligeranza e il senso di incertezza che aleggiava in tutta la nazione, lo inducono per di più ad impegnarsi ancora nel campo della letteratura: oltre al sopraccitato Cristo si è fermato a Eboli, nel 1942 compone il breve saggio Prospettive- Paura della pittura, dove riesce ad esternare l’oppressione e l’inquietudine che qualsiasi classe sociale provava verso i regimi totalitari.

Il periodo post bellico, infine, è giudicato come la fase meno creativa dell’autore. Trasferitosi definitivamente a Roma, continua ad occuparsi prevalentemente di scrittura e di politica, mettendo un po’ da parte l’attività pittorica. Nel 1950 pubblica L’Orologio, ovvero un significativo racconto/diario autobiografico dove, con una sentita partecipazione, esplora la città nei suoi più nascosti recessi. Anche la copertina del libro è una sua creazione: nel dipinto, sullo sfondo delle luci notturne, si stagliano un gufo e un massiccio orologio da taschino, che secondo il Belli è il simbolo drammatico dello scorrere dell’esistenza (“La Morte sta anniscosta in ne l’orologgi”).

Per ammirare personalmente alcune opere dell’artista, è possibile visitare gli spazi della Fondazione Carlo Levi di Roma, dove tuttora molte di esse sono conservate.

Per informazioni:
Fondazione Carlo Levi
Via Ancona 21, 00198 Roma
Tel e fax: 0644230740
Email: fondazionecarlolevi@libero.it

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