[oblo_image id=”2″] Se solo fosse possibile fermare per un attimo la “modernità” o per lo meno rallentare la folle corsa del mondo occidentale verso quel presunto “progresso” che sembra tutto ciò che abbiamo, tutto ciò a cui siamo destinati, lo scopo dell’esistenza. Se solo fosse possibile prendere fiato cinque minuti ci si accorgerebbe di vivere l’incubo degli ignavi danteschi, costretti a correre inutilmente e senza meta dietro ad una velocissima insegna priva di significato.

«Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in maniera tale che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto». Questa citazione, erroneamente attribuita al Dalai Lama e tratta da un testo inglese di cui non si conosce l’autore, racchiude in sé una grandissima verità. Nessuno di noi pensa mai a quanto la propria vita sia tutta proiettata al futuro: ciò che faremo domani ha molta più importanza di ciò che facciamo oggi, l’intera esistenza è una rincorsa di un futuro migliore dove, praticamente senza alcuna eccezione, migliore significa più ricco. Ogni azione è mossa dal denaro e spesso ormai confondiamo senza accorgercene le idee di ricchezza e felicità: se vediamo un uomo facoltoso su una macchina di lusso siamo portati a invidiarlo perché crediamo che quella carrozzeria luccicante e lo stile di vita ad essa associata siano le vie principali per raggiungere la felicità. Mediamente però, si vuole sempre più di ciò che si possiede, per cui la tanto agognata felicità dura meno di un baleno: già i filosofi greci ne erano consapevoli ma nel corso dei secoli ce ne siamo dimenticati. Nessuno di noi, purtroppo, sfugge alla logica moderna del profitto sempre maggiore, del rendimento massimo, del lavoro che non serve più a sostentarsi e a realizzarsi ma ad arricchirsi esponenzialmente. In Occidente, si deve lavorare tutta la vita per poter lasciare denaro ai propri discendenti o per avere stima agli occhi degli altri occidentali. Qui, se non guadagni bene non puoi essere nessuno. Siamo su una giostra vorticosa, su un meccanismo pericolosissimo che ci travolgerà, tornando indietro come un boomerang. Pagheremo, e forse abbiamo già iniziato a farlo, per l’uso indiscriminato delle risorse del mondo, pagheremo per i secoli di sfruttamento delle nazioni più povere, pagheremo per le politiche economiche folli e senza etica, pagheremo per ogni serbo, polacco, cinese che abbiamo sfruttato dislocando le nostre produzioni nei loro paesi. Pagheremo per aver distrutto le foreste e sciolto i ghiacciai e per aver ogni giorno consumato le stesse risorse pro capite che in Africa servono a sfamare un intero villaggio. Ci sta già tornando indietro tutto, il risultato sarà un’involuzione, una povertà di ritorno che è l’unica cosa che può aspettarsi chi sperpera senza freno o chi persegue arricchimenti facili, veloci, senza tregua. L’imperativo categorico non è soltanto aumentare benessere e guadagno, cosa che sarebbe anche lecita e giusta se attuata in maniera sostenibile, ciò che conta è farlo subito, prima degli altri, vincere sul tempo oltre che sulla resa. Una gallina che viva negli antichi pollai e abbia la fortuna di poter razzolare all’aperto produce circa cento uova all’anno. Troppo poco. La si chiude in batteria in capannoni senza luce in cui dispone dello spazio di un foglio A4 e si fa in modo che produca tre o quattro volte le uova che produrrebbe in natura, circa trecento ogni anno. È la violenza intensiva (http://violenzaintensiva.blogspot.com/2010/07/conosci-i-tuoi-polli-iii-parte.html) che fa sì che dopo un anno una gallina non sia più buona neanche per fare il brodo. Se non si è sensibili al tema dei diritti degli animali o al tema di uno sfruttamento coscienzioso e sostenibile di quella natura di cui nessuno ci ha mai nominato possessori, almeno lo si potrebbe essere a quello della salute dell’uomo. I cibi che arrivano sulle nostre tavole proveniendo da allevamenti intensivi o da campi avvelenati sono nocivi per noi: le uova di quelle povere galline fatte crescere forzatamente e in condizioni innaturali non avranno mai gli stessi valori nutrizionali delle uova di galline sane e che vivono “da galline”. Il cibo si depaupera, costa sempre meno ma ne serve sempre più perché una altissima percentuale viene sprecata senza ritegno. Poi, generalmente, l’uomo occidentale si ammala e si indigna con Dio o con il destino. Magari quel tumore ha cause diverse dalla malasorte o dalla genetica: forse saranno quelle polveri sottili che respiriamo ogni giorno, l’inquinamento dovuto alle emissioni di ogni genere, i cibi che mangiamo, le medicine che assumiamo fidandoci del nostro medico occidentale come di un depositario della verità divina? Ma ormai non importa più quale sia stata la causa, solo a quel punto l’uomo occidentale inizia a fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni. Purtroppo, la posta in gioco è troppo alta per poter cambiare le strategie e le azioni: non c’è speranza che quegli otto paesi che decidono le sorti del pianeta facciano un passo indietro e ascoltino il parere delle altre nazioni, delle associazioni ambientaliste, degli esperti mondiali di clima ed energie. Se il nucleare è la via più rapida non c’è referendum o democrazia che tenga. Se la Fiat per essere competitiva a livello mondiale ha bisogno di attuare strategie che più che uno “sguardo alla modernità” sembrano uno “sguardo a cent’anni fa”, non ci sarà costituzione o sindacato che regga. Il lavoro è la cosa più importante, chi ha votato “sì” al referendum di ieri della Fiat Mirafiori lo sa benissimo. Chi ha votato “no” però forse sa, altrettanto bene, cosa significhi lavorare in catena di montaggio e quanto i diritti dei lavoratori siano paragonabili in importanza al lavoro stesso. Ci siamo divertiti a dislocare le fabbriche nei paesi in via di sviluppo, ora ne paghiamo le conseguenze e ci adeguiamo a quel target di condizioni salariali e lavorative in generale che noi stessi abbiamo imposto, per abbattere i costi di produzione. In fondo anche questa è libertà. E all’Occidente tutto si può dire tranne che non sia liberale.

[oblo_image id=”3″]

Ci si potrebbe chiedere come mai siamo finiti così oltre il buon senso e la civiltà e perché abbiamo dimenticato il senso profondo dell’esistenza. Ma sarebbe un pensiero troppo filosofico, troppo orientale e troppo poco utile e remunerativo. Quaggiù rifletteremmo sul senso della vita e sulla spiritualità, investiremmo sulla cultura e sulla ricerca, ci preoccuperemmo dell’ambiente e della povertà endemica solo se tutto ciò portasse in qualche modo un guadagno in denaro. Senza accorgerci che proprio quelle azioni hanno in sé il segreto della felicità e del benessere con la “b” maiuscola. Ognuno potrebbe fare qualcosa se solo lo volesse. Tra pochissimi anni il “pianeta da salvare” diventerà la nostra priorità numero uno e a quel punto la vittoria della logica del denaro potrebbe davvero condurre all’autodistruzione, senza retorica. La sorte che ci aspetta ricorda da vicino quella del Dottor Faust ma in maniera più modesta e prosaica: non saranno stati il desiderio di onnipotenza o la brama della conoscenza a spingerci a vendere l’anima al diavolo ma, semplicemente, un paranoico e morboso culto del dio denaro.

Advertisement