[oblo_image id=”1″] C’è un calciatore che riceve palla al limite dell’area avversaria, ma che improvvisamente si gira e comincia a correre all’indietro. Inizialmente gli vengono incontro i giocatori dell’altra squadra ma lui li salta in scioltezza. A quel punto gli avversari lo lasciano andare: in fondo si sta dirigendo verso la sua porta. Dopo un po’ di stupore, i compagni si rendono conto che la minaccia arriva da uno che indossa la loro stessa maglia e iniziano a contrastarlo. Niente da fare: vengono dribblati senza pietà. In campo nessuno capisce quello che sta succedendo, in panchina neanche e in tribuna un signore si sente male per lo spavento. Un giocatore così che fa una cosa così, viene preso per pazzo. E come tutti i pazzi, solo lui è convinto di essere normale; piuttosto è il mondo che lo circonda ad essere spesso talmente finto da divenire indecifrabile. Ezio Vendrame è stato l’anticalcio nel senso più nobile del termine: ha rifiutato le strategie, le manovre, gli schemi del professionismo. Un filosofo che giocava con un pallone con lo spirito di un bambino: in quegli anni e anche dopo, è stato visto come un alieno. Perché nell’ovattato mondo del football – impermeabile alla realtà e alle norme esterne – può sembrare normale anche accordarsi per il risultato di una partita prima del fischio d’inizio. Ad apparire folle è chi si ribella ad essere l’attore di una commedia da quattro soldi (i soldi in realtà sono molti più di quattro..) per dare sfoggio di estro e fantasia: nei contratti non c’è alcuna clausola che costringa il giocatore a fare lo sforzo di pensare. Anche quella partita in cui Vendrame si era divertito ad improvvisare uno slalom in senso di marcia contrario era stata accomodata. Al suo Padova e alla Cremonese, andava benissimo il pareggio e così avevano deciso di chiudere su un soporifero 0-0. La gente sugli spalti dell’Appiani sbadigliava, gli altri giocatori non si facevano problemi. Lui invece si annoiava terribilmente e così decise di offrire un’emozione: una volta giunto davanti al proprio portiere, ha fintato il tiro e si è fermato. Tutto questo casino, solo per regalare un brivido? Sì, Vendrame vi risponderà di sì e vi garantirà di non essere pentito. Inutile provare a fargli capire a distanza di anni che certe cose nel calcio vanno accettate e subite senza farsi troppi problemi. E se qualcuno gli fa notare che per quella provocazione, uno spettatore ci ha rimesso la vita colpito da un infarto, vi replicherà che il vero incosciente è stato il tifoso ad andare a seguire una sua partita sapendo di essere debole di cuore. Non lo si farà vacillare neanche ricordandogli quella volta che si è soffiato il naso con la bandierina del corner. “Era un gesto di classe: gli altri calciatori si puliscono con le mani, mi sembrava più educativo usare ciò che su un campo da calcio è più simile ad un fazzoletto”. In quella partita, ne aveva combinata un’altra delle sue. Poco prima del match era stato contattato dal presidente della squadra avversaria, l’Udinese. Vendrame era in buoni rapporti avendo militato nelle fila dei friulani e il patron dei bianconeri gli propose 7 milioni di lire per una prestazione “scadente”. Sulle prime, mette da parte i suoi principi e accetta: “avevo giocato male tante partite e sempre gratis. Stavolta per farlo mi riempivano di soldi: l’alternativa economica erano le 22 mila lire a punto – il minimo sindacale – elargite dal Padova come premio gara. Ma appena entrato in campo, il Best di Casarsa sente i fischi del suo ex pubblico. E’ un’umiliazione troppo grande e allora “a fanculo i 7 milioni, meglio le 44 mila lire. E iniziai a giocare come si deve”. Il Padova vince per 3-2, Vendrame segna due gol. Nel secondo c’è tutto il personaggio: prima di battere un calcio d’angolo come risposta ai tifosi che lo insultano promette che avrebbe segnato direttamente dalla bandierina. E nonostante il trucco sia svelato ancor prima di essere realizzato, mantiene la promessa. Frammenti di una carriera vissuta sempre un filo sottilissimo. Dicevano che con più razionalità potesse essere un nuovo Sivori, forse Kempes. Ha preferito essere fino in fondo Vendrame Ezio da Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone. Ma chi nel calcio d’oggi, avrebbe il coraggio di fare un tunnel a Rivera all’esordio a San Siro e l’umiltà per scusarsi subito dopo perché “Gianni era troppo grande. L’unico con Zigoni e Meroni a dover essere considerato un giocatore di pallone: il resto è noia”. Chi tra i calciatori di oggi farebbe amicizia con un poeta? Per lui Piero Ciampi era un maestro e al tempo stesso un confidente: per due come loro, penna e pallone, calcio e poesia erano meno lontane di quanto apparisse agli altri. Lo diceva anche Pasolini, accomunato dal destino di non avere fortuna in patria. La stessa patria: un paesino di poche anime, poco propenso ad esaltare chi sa e ama distinguersi. “Pasolini ha lasciato Casarsa e ci è tornato orizzontale. Nel senso della bara. Io seguirò lo stesso percorso”. E che cosa fa ora? Fa calcio, quello vero. Insegnandolo ai ragazzini che lo adorano: “Perché se tu non li freghi,i ragazzini non ti fregano”. I genitori lo amano di meno e lui li contraccambia: “Sogno di allenare una squadra di orfani”. Vince i campionati giovanili, ma si preoccupa di spiegare ai ragazzi che non devono sognare quello che vedono in televisione, che la vita vera è un’altra, che a volte dà più soddisfazione prendere il palo piuttosto che fare gol. Chiedetelo ai tifosi del Siena. Una volta giocando per i toscani aveva scartato l’intera difesa avversaria, portiere compreso. Doveva solo appoggiare in rete ma gli sembrava banale. Così è tornato indietro per saltare nuovamente i terzini, per aggiungere un tocco naif ad un quadro da favola. Peccato che quella pennellata si rivelò fatale, i difensori gli tolsero palla e i tifosi del Siena infuriati lo costrinsero a rimanere barricato nello spogliatoio fino a sera inoltrata. Non lo capivano, forse non lo capiscono tuttora, lui non se ne preoccupava e non se ne preoccupa.Come ripete spesso: “ho giocato a pallone, ma non sono mai stato un calciatore”: c’è una sottile differenza. Per capirla bisogna però avere una sensibilità particolare. Da filosofo, da poeta o da bambino.

Advertisement