[oblo_image id=”1″] In campo non correva quasi mai. Non ne aveva bisogno perché gli bastava essere veloce di testa. Leggeva il gioco talmente prima degli altri da consacrarsi come il direttore d’orchestra del Barcellona che dominava in Spagna ed in Europa negli anni ’90. Ogni azione partiva dai suoi piedi, ogni compagno lo cercava sapendo che con lui il pallone era in cassaforte. Johann Cruyff, allora tecnico dei blaugrana, lo considerava il suo prolungamento in campo. Era il punto di riferimento anche nella nazionale iberica: agli Europei del 2000 stabilì un significativo record toccando nella partita con la Norvegia l’astronomica cifra di 119 palloni. Andrea Pirlo ha dichiarato più volte di essersi ispirato a lui per interpretare il ruolo di play maker.

 

Ma Josep “Pep” Guardiola è sempre stato unico anche fuori dal campo. Non si è mai nascosto dietro ai soliti luoghi comuni dei calciatori ne è scivolato nelle banalità tipiche dei suoi colleghi come “le partite sono decise dagli episodi” oppure “ la palla è tonda” ecc. Conversava con la stessa disinvoltura di politica ed attualità, di arte e storia. Quando gli chiesero un commento su Napoleone, rispose: “Non è un modello. Con la Rivoluzione Francese provocò un’infinità di morti. Mio nonno Sebastian mi ha insegnato a rispettare gli altri sempre. Ecco, lui è un mio eroe”. Un’integrità impossibile da scalfire anche nei momenti più difficili. Quando terminò la sua avventura da calciatore al Barcellona, la lista delle pretendenti era lunghissima. Non si scompose chiosando: “Si è chiusa un’epoca. Ma se l’alternativa è andare al Real Madrid, allora mi ritiro”. Scelse il Brescia per giocare al fianco di Roberto Baggio e insieme regalarono la salvezza alle “rondinelle” nonostante la sorte avesse voltato le spalle alla squadra del presidente Corioni. Incappò nell’antidoping risultando positivo ad un controllo dopo la gara col Piacenza. Davanti alla commissione si limitò a dire: “C’è una macchina che dice che ho fatto uso di sostanze dopanti. C’è un uomo che dice che non è vero”. Alla fine la storia gli diede ragione  assolvendolo da ogni accusa lasciando così immacolata un’immagine costruita in un’intera carriera.

 

E conoscendo l’uomo ancora prima del campione, non sorprende che per ricreare un ciclo vincente dopo un annus horribilis, il Barcellona si sia affidato a lui. Poco importa che sia alla sua prima esperienza da allenatore. In Catalogna non ci sono dubbi che sia la scelta giusta. Se uno ha la maglia blaugrana come seconda pelle non ha paura di fallire. Buena suerte Pep: al Camp Nou non poteva arrivare nessuno che se lo meritasse di più.

Advertisement