[oblo_image id=”1″]Quando lo sport piange in simbiosi e senza ipocrisia significa che l’oggetto della sua tristezza è una grande persona.

E Candido Cannavò lo è stato. Un uomo educato, un giornalista vero. In entrambe i casi un “Signore” d’altri tempi. Mai una polemica fuori posto, mai una volgarità. Una correttezza mai sbandierata ed un giornalismo senza bandiera che ne hanno fatto uno dei pochi, forse l’unico, giornalista amato da tutte le società, da tutti i giocatori, da tutte le tifoserie… di tutti gli sport.

Se a questo aggiungiamo una capacità organizzativa non comune, che ha fatto la fortuna della testata giornalistica più rinomata e competente del nostro paese, il gioco è fatto. 

Ha lavorato fino all’ultimo con la passione e la professionalità solita e quando la morte ha bussato era in via Solferino nella sua “Rosea” a fare quello che ha sempre amato fare e dove tornerà domani, per l’ultima volta, per l’ultimo saluto da parte di chi lo ha conosciuto di persona e da chi invece lo ha fatto solo scorrendo i suoi editoriali.

Adesso, mentre lo si piange e decanta in tutta la nazione, il “direttore” starà pedalando con un vecchio amico, un ragazzo per cui stravedeva e per cui pianse in pubblico. Un ragazzo che ci ha lasciato qualche anno fa… ucciso dai rimorsi dei suoi stessi errori e da un giornalismo sconsiderato che li amplificò a dismisura. Ci fu solo un giornalista che, quasi come un padre, nel gestire l’accaduto si limitò alla cronaca e a qualche sana e dovuta paternale senza infierire su un uomo già provato di suo. Era un certo Candido Cannavò, anzi scusate… era il Signor Candido Cannavò.

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