[oblo_image id=”1″]In attesa del riconoscimento dell’UNESCO, le Nazioni Unite hanno dato il via al patrocinio della Festa di Sant’Efisio che verrà annoverato tra le manifestazioni facenti parte dei beni immateriali, considerati, Patrimonio dell’Umanità.

Dall’edizione 2007 la responsabile italiana UNESCO, Maria Luisa Stringa, ha potuto ammirare la festa, apprezzandone anche la passione, riscontrabile, sopratutto all’interno del quartiere Stampace, a cui appartiene la chiesetta del santo. Ha, quindi, dato il via alla raccolta dei documenti storici occorrenti per istruire la pratica!

I duchi di Kent e la principessa saudita Raja el Daouk hanno dato, insieme a migliaia di turisti un tocco internazionale alla festa che vedrà le ultime fasi nelle funzioni che si celebrano lontano dalla ribalta, fino al 25 maggio col simulacro dentro al cocchio presente nella chiesetta di S.Efisio.

Efisio era nativo di Elia Capitolina, così venne chiamata Gerusalemme dopo che venne ricostruita da Adriano, sulle sue stesse rovine. Divenne ufficiale dell’esercito romano sotto Dioclezianoe e dopo una battaglia vinttoriosa contro i “sardi pelliti”, comparve sulla sua mano destra, il segno della croce. Si convertì al cristianesimo, che Diocleziano temeva potesse sconvolgere la civiltà di Roma. Venne imprigionato e torturato ma le sue ferite guarirono repentinamente. Questo costrinse il console di Caralis, ad affrettare la sua condanna a morte per evitare che venisse mitizzato. La sentenza venne eseguita a Nora, l’antica città prefenicia sul mare, a circa 35 km a sud-ovest di Cagliari.

I cristiani di Caralis, lo riconobbero come martire e più volte nell’arco dei secoli lo invocarono; per carestie, guerre e pestilenze. Così avvenne quando Cagliari fu colpita dal morbo della peste nera, intorno al 1650-55, che cessò dopo le invocazioni al santo.

[oblo_image id=”2″]Le autorità della città decisero che dall’anno successivo (1 maggio 1656) si svolgesse perennemente una processione, che gli rendesse  omaggio. Così ogni anno, “sas traccas” (carri riempiti di ogni bene) tirate da buoi infiorati; uomini, donne e bambini in costume, i miliziani ( truppe che proteggevano, dai saraceni) sfilanocon i vestiti del XVII secolo. E’ come entrare in una grande macchina del tempo, dove si ripetono gesti, riti e ricordi che riportano nel passato. Si assiste ad un intreccio di sacro e profano un insieme di gente e animali, torrone, pane, attrezzi da lavoro, armi e costumi. Le preghiere e i voti di chi ferma il carro durante la processione, i cavalli imbizzarriti che fanno arretrare la folla, le launeddas (strumento a tre canne che riproduce un suono accostabile alla cornamusa), i “goccius” (invocazioni al santo) amalgamati in uno spettacolo multicolore, arricchito anche dai gioielli che riproducono quelli di allora. Alcuni manufatti, sono vecchi di secoli e questo aumenta la responsabilità di chi li porta in processione. Sono oggetti ereditati, da curare e proteggere, per poi nuovamente tramandare.

Il corteo, lasciata Cagliari, effettua una sosta nella villa Ballero in cui vengono cambiati carro e costume del simulacro che viene privato anche dei gioielli (tra cui il “pendantif” medaglione d’oro omaggio di Maria Teresa d’Austria), per poi continuare, attraversando altre località, fino a Nora. Da questa antica località, riparte percorrendo la strada del ritorno con la stessa statua che sfilò sotto i bombardamenti dell’ultima guerra, con la città distrutta all’80%.

Quest’anno il corteo , tra l’altro, è rientrato appena poco prima della mezzanotte, ad un passo dal rompere la tradizione che ne prevede il ritorno entro il 4 maggio nella piccola chiesa di “Sant’Efis” che, con la piazzetta prospiciente, è immersa tra le case e gli antichi palazzi del quartiere di Stampace, dove la fede e la devozione al Santo, sono un marchio nella memoria, un segno di appartenenza per tutti i cagliaritani e a maggior ragione per uno “stampacino”.

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