[oblo_image id=”1″] Quando la storia ti sgualcisce, non serve a niente provare a mettere a posto la piega. Avram Grant lo sa e lo sapeva anche quando è stato chiamato a raccogliere la pesante eredità di Jose Mourinho. Il Chelsea era una squadra sull’orlo di una crisi di nervi, in evidente difficoltà tecnica e incamminata su una pericolosa china che lasciava prospettare una stagione di transizione. L’allenatore israeliano doveva essere solo un traghettatore, utile solo per tenere calda la panchina in attesa che patron Abramovich si incapricciasse di qualche altro guru del pallone. Grant non ha appeal, non si scompone in panchina e non rilascia dichiarazioni ad effetto. Ma lavorando in silenzio ha ricompattato lo spogliatoio guidando la rimonta in campionato e la scalata in Champions. Settimana dopo settimana, i blues hanno rialzato la testa arrivando a maggio ancora in corsa per Premier League e Champions League. Ha recuperato un distacco in Premier che sembrava incolmabile e con la vittoria nello scontro diretto ha appaiato il Manchester United. Un risultato straordinario ma inutile perchè i red devils si sono laureati campioni in virtù della migliore differenza reti. In coppa, il Chelsea di Grant ha raggiunto per la prima volta la finale scacciando i fantasmi delle passate sfide con il Liverpool. E nella finale di Mosca, i londinesi hanno regalato un’altra prestazione d’orgoglio e cuore venendo beffati solo dai rigori. Grant sapeva che il suo futuro era appeso ad un filo e che quella sconfitta sanciva il suo addio. Avrebbe potuto scaricare tutta la sua rabbia nelle interviste del dopo gara rivendicando la bontà del proprio lavoro prendendosela con la sorte o con chi lo aveva tradito dal dischetto. Non ha detto una parola. E’ andato dai tifosi dei blues regalando la medaglia appena ricevuta per il secondo posto. E’ tornato dalla squadra ringranziando privatamente ognuno dei suoi giocatori. Senza fare distinzioni. Poche parole, nello stile del personaggio:“E’ stato un privilegio lavorare con voi”. Poi ha ripreso le sue cose e ha troncato il suo rapporto con il presidentissimo russo (che gli ha regalato una generosa liquidazione). La panchina del Chelsea non fa lui. Non è tipo da vantare i propri meriti o da rispondere alle frecciate del proprietario. Forse non è neanche un vincente, o almeno così appare. Ma uno così nel calcio manca. Con i suoi silenzi, con quei modi pacati e la dignità di darsi al pubblico nel momento della sconfitta. Senza alibi e senza scaricare le colpe su altri. Non sarà un vincente, ma ci vuole stile anche nel perdere. Tuttavia, quello non si può comprare e pertanto ad Abramovich non interessa.