[oblo_image id=”1″] Ci si può lasciare da amanti, da amici, da compagni di viaggio o da nemici. Ci si può lasciare e basta quando il legame non è stato abbastanza profondo. L’addio di Claudio Ranieri dalla Juventus ha il sapore di una triste serata novembrina torinese scandita dal tichettio della pioggia sul porfido anche se si è consumato in un assolato mattino primaverile. E’ l’epilogo di un rapporto mai realmente sbocciato vissuto tra diffidenza, sorrisi accennati, smentite di facciata, frasi di circostanza. La Juve ha trovato Ranieri dopo essersi scottata con Deschamps, non l’ha mai giudicato l’uomo della provvidenza, il messia arrivato per guidare la rinascita del più glorioso club d’Italia. Ranieri ha accettato l’invito senza mai voler pensare in grande. Lo ha sempre detto: non è più la squadra di qualche anno fa, non tocca a noi vincere, i dirigenti non hanno chiesto lo scudetto o la Champions. Tanta prudenza. Anche troppa. Finendo a volte con l’inciampare: “Saremo un camaleonte solido“, “Poulsen è più adatto al nostro calcio di Xabi Alonso“, “Non ho fatto entrare Giovinco perchè temevo Mirko Pieri“. Non ha mai illuso i tifosi, ma mai li ha fatti sognare. E’ sembrato un rapporto di reciproca convenienza tra uno staff che non sapeva – e forse ancora non sa – chi mettere al timone della nave e un capitano di lungo corso giunto al momento sbagliato sulla nave più prestigiosa. Ora le strade si sono divise. Freddamente. Un comunicato ufficiale standard, le solite dichiarazioni di ringraziamento per il lavoro svolto. Resta il senso di smarrimento di chi si chiede cosa possa accadere A volte le separazioni fanno la felicità di entrambi. Sarebbe però importante che almeno entrambi sapessero cosa vogliono. Altrimenti si rischia di rimanere senza bussola. E navigando a vista non si va lontano.

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