La faccia di Lele Mora è fissa sullo schermo. Ha un sorriso ingenuo, forse un po’ imbarazzato, ma soddisfatto mentre ci mostra la sua camera da letto bianco gesso. Sembra tutto così limpido, pulito, anestetizzato, forse anche troppo. Nessuna macchia; gli scheletri nell’armadio sono ben nascosti, lontani dalle telecamere, che sono usate con uno stile televisivo, scrutatore, ma non giudicante; non dà risposte, ma fa domande.

Lele Mora risponde al telefono, lo spiamo attraverso l’occhio di una telecamera silenziosa, che ci rimembra lo stile dei reality show. L’uomo che può rendere chiunque un personaggio pubblico, purché appaia, purché vada in televisione, purché sia spigliato e desideroso di apparire a qualsiasi costo, sembra subire la stessa sorte dei giocatori del Grande Fratello. Eppure sembra tutto così finto, montato, deciso a tavolino.

[oblo_image id=”1″]Il corpo abbronzato e ben scolpito dai muscoli di Fabrizio Corona ci viene mostrato nella sua interezza, mentre ci racconta la sua storia, la sua capacità di costruirsi un immagine e di saper restare nel mondo dello spettacolo. Si profuma ogni angolo del corpo, dopo una doccia e una accurata pulizia dei genitali, che Corona bada bene a mostrarci senza alcun pudore o vergogna.

In poche scene possiamo notare il cocktail fortunato della televisione italiana: soldi, discoteca, bellezza e narcisismo. E’ un mondo edonistico e fatto di immagine quello mostrato dal giovane regista Erik Gandini, un italiano trapiantato in Svezia, che con il suo documentario Videocrazy – Basta Apparire ci mostra le ombre della televisione italiana e come il potere politico sia ben mescolato all’interno dei suoi palinsesti, ma non lo fa raccontandoci dei fatti, usando uno stile giornalistico o alla Michael Moore. Nulla di tutto ciò. Gandini usa la telecamera come un occhio che osserva. Ci mostra alcuni personaggi e le loro contraddizioni e lo fa attraverso impressioni, sensazioni, usando una fotografia realistica, statica, con una comunicazione implicita. Sembra che non abbia avuto il coraggio di dire tutto, ma quelle fotografie fisse sullo schermo, il sorriso del Presidente immortalato in una posa naturale, vera, ma anche questa come fosse decisa a tavolino, sembrano comunicare anche più del necessario, lasciando lo spettatore avvolto dall’inquietudine e da tante domande.

[oblo_image id=”2″]Presentato al Festival di Venezia, Videocrazy è un documentario di 85 minuti, che vuole mettere in evidenza il cambiamento della televisione italiana degli ultimi 30 anni, da quando i primi spogliarelli iniziarono ad invadere i nostri schermi, fino a ritrovarci pieni di veline e showgirls mute, ma nude e bellissime, che con molta naturalezza riescono a diventare anche ministro per le pari opportunità. Basta apparire.

Basta apparire per essere qualcuno ed è di questo pensiero che fa la propria filosofia un giovane operario bresciano, che nella sua semplicità e superficialità si è costruito un mondo attorno a sé per sfuggire a quella routine che lo fa sentire insignificante.

Ma forse sta proprio qui il gioco della televisione, che il regista vuole mostrarci. Cinque minuti di popolarità fanno sentire importanti, significanti. Anche se come confiderà Fabrizio Corona ciò che importa sono i soldi, quelli facili. E con quel suo ammettere di sentirsi un Robin Hood, che ruba ai ricchi, per dare a sé stesso, ci mostra i desideri dell’italiano medio, che si è andato a costruire in anni di televisione commerciale: soldi, nudità, bellezza, sesso e potere. Ed è su questi aspetti che la televisione italiana si è basata, cambiando la nostra cultura.

I dati statistici alla fine del documentario sembrano svelare il filo conduttore del film, invitandoci, forse, a fare qualcosa per cambiare, per esigere più trasparenza e maggiore libertà di opinione.

Censurato il trailer sulle reti televisive, Videocrazy è stato trasmesso regolarmente nei cinema d’essai, ottenendo un discreto interesse di pubblico. Il regista, per quanto giovane, ha saputo confezionare un documentario particolare, costruendosi un suo stile,anche sel’impressione che non abbia avuto il coraggio di dire tutto rimane fino alla fine, lasciando pieni di dubbi.

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