L’amicizia fra donne esiste davvero oppure la solidarietà femminile è un’utopia? È su questo tema che vuole farci riflettere l’ultima opera teatrale di Gianni Quinto, diretta da Siddartha Prestinari. Bastarde senza gloria, una per tutte è incentrata sulla vita personale e sulla carriera di sette lavoratrici, colleghe in una fabbrica del settore alimentare.

Tutte conducono una vita non facile se non complicata e, di conseguenza, non possono assolutamente permettersi di perdere il proprio impiego, sebbene non le appassioni per nulla. La tragicommedia, fra l’altro, mette in evidenza la fatica fisica e mentale di stare tutto il giorno dentro a una catena di montaggio, svolgendo sempre le stesse operazioni in maniera meccanica e alquanto alienante.

Ogni personaggio porta sulla scena un tipo di donna diverso: a Francesca Antonaci (in arte Gegia), per esempio, è toccato il ruolo della veterana in fabbrica che pensa di sapere tutto sulle colleghe assunte dopo di lei (ma nel corso della vicenda si scoprirà che, a dirla tutta, neppure lei si era accorta di ogni cosa). Manuela Villa invece interpreta Rachele, la quale vive il dramma di avere un figlio disabile da accudire di continuo e per questo motivo viene compatita dal gruppo. Almeno fino a quando la collega lesbica (Valentina Olla) non rivelerà la loro relazione nascosta e la precedente tresca di Rachele con il marito di un’altra dipendente dell’azienda (Elisabetta Mandalari).

Il personaggio più positivo e saggio di tutti, alla fine, risulterà essere a sorpresa l’impiegata più giovane (interpretata dalla bravissima Eugenia Bardanzellu). Anche lei però cela un segreto drammatico che sarà costretta a far emergere per risolvere il grave problema che si è venuto a creare sul lavoro. I titolari della fabbrica infatti, poiché il fatturato non è per niente buono, decidono di licenziare un dipendente per reparto, lasciando addirittura la scelta su chi fare fuori agli stessi operai.

Tornando alla domanda posta inizialmente insomma, una volta analizzata la trama della piece, è possibile affermare con certezza che quando si tratta di sopravvivenza non ci sono rapporti di amicizia o solidarietà che tengano, perché tutti pensano solo a salvare la propria pelle.

L’atto è unico con scenografia fissa, ma il testo è talmente incisivo e di impatto da riuscire a tenere viva l’attenzione degli astanti da solo. Per gli interessati, lo spettacolo rimarrà in scena fino a domenica 7 maggio al Teatro Sette di Roma (www.teatro7.it).

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