
Daniel Pennac diceva che in ogni classe che si rispetti, ci dovrebbe essere un bambino che appena entrato chiede: “Maestra, raccontaci una storia”. Perchè abbiamo bisogno di sentire storie per sognare, riflettere, interrogarci su noi stessi e capire qualcosa di più su chi siamo e su chi sono quelli che ci sono vicino. Volendo essere più pignoli rispetto allo scrittore francese, si può aggiungere che abbiamo bisogno di storie belle che siano raccontate bene. Ed è quello che ha fatto Pupi Avati passando al piccolo schermo con la disinvoltura dei maestri per curare la sceneggiatura e la regia di Un matrimonio, serie in sei puntate su Rai Uno. Ha conquistato il successo di pubblico e critica sfruttando ciò che comunemente viene ora visto come un difetto. Racconta un’istituzione classica, due persone che si sposano per rimanere insieme per la vita condividendo un percorso e vivendo le difficoltà come un modo per ritrovarsi più forti, seguendo il principio ” a volte le cose che hanno una crepa si aggiustavano. Ora si cambiano”. C’è una nota autobiografica: il regista ha da poco festeggiato i cinquant’anni di matrimonio e voleva riportare la propria esperienza dietro la macchina da presa: l’ha fatto con puntualità e un briciolo di autoironia che gli appartiene. Soprattutto, la vera novità è di ribaltare la contrapposizione tra cinema e tv adattandosi alle peculiarità del mezzo. Il piccolo schermo consente di dilatare i tempi: lo stesso Avati racconta come inizialmente la serie era stata pensata per 12 puntate, poi ridotte a 6. Ma avere spazio, non significa infarcire la trama di ripetizioni o anacronismi per “tappare” un buco di programmazione: una fiction di qualità ha la possibilità di esprimere tutto il proprio potenziale. Il cast è all’altezza, disegnato con cura dal regista (Avati prepara copioni ad hoc per gli attori che devono sottoporsi a un suo provino nella convinzione che gli interpreti vadano sempre messi nelle condizioni ideali) e ben dosato negli episodi: convincente Micaela Ramazzotti che denota una consolidata maturità artistica, rivalutato Andrea Roncato che finalmente trova una ruolo non stereotipato e brillante Christian De Sica, sempre incisivo quando si affranca dai ruoli triti dei cinepanettoni. E ancora Katia Ricciarelli, Ettore Bassi, Valeria Fabrizi e tanti altri. Merita una citazione particolare Flavio Parenti: non si può dire che sia una rivelazione perchè aveva fornito prove straordinarie a teatro lavorando con registi come Marco Sciaccaluga e Luca Ronconi, ma per il pubblico del piccolo schermo è una rivelazione; si nota per la bellezza, si apprezza per la bravura. Le anticipazioni fanno pensare a un lieto fine che però non appare mai melenso o scontato. E chi l’ha detto poi che non abbiamo ogni tanto anche di belle storie che finiscano lasciando un pò di ottimismo per il futuro?
