[oblo_image id=”1″] Il 2 Febbraio 2007 violenti scontri all’esterno dello stadio Massimino in occasione del match tra Catania e Palermo portarono alla morte dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti. Una tragedia assurda eppure annunciata. Assurda perchè non sarà mai comprensibile come si possa perdere la vita per una partita di calcio. Ma prevedibile perchè da troppo tempo il bilancio settimanale degli incidenti negli stadi nostrani assume le dimensioni di un bollettino di guerra. La morte di Raciti ferì una citta e, almeno a parole, sconvolse il mondo del pallone. Da allora si è dibattuto all’infinito, si sono cercate soluzioni ma forse non si è mai andati alla radice del problema. La tragedia di Catania è quantomeno servita a far prendere coscienza di uno scenario diverso. Alla lotta tra tifoserie rivali si è sostituita una battaglia ancora più subdola e pericolosa. Ormai lo scontro è tra le frangia più estrema del tifo organizzato e le forze dell’ordine. Una realtà emersa drammaticamente nuovamente pochi mesi fa con la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri e la presa d’assedio di Roma da parte degli ultras capitolini.
Si è anche detto che il calcio e il tifo non hanno niente a che vedere con la violenza. Forse è una considerazione condivisibile a patto che spinga ad una riflessione più profonda. Se si tratta di lavarsi le mani, additando genericamente responsabilità alla società si rischia di lasciare la situazione allo stato attuale. Lo sport, invece, deve rivendicare la sua straodinaria forza distensiva e aggregatrice. Dal calcio deve nascere la lotta alla violenza recuperando i valori di rispetto per l’avversario e per se stessi che sono alla base di ogni sfida agonistica. Solo così, sarà possibile isolare coloro che nelle partite vedono una zona franca dove poter commettere qualunque reato rimanendo impuniti. Lo sport ha una sua identità e non può che avvicinarsi alle istituzioni. Le immagini viste a Roma dopo la morte del tifoso laziale non sono degne di un paese civile: la caccia alla polizia è semplicemente inaccettabile.
[oblo_image id=”2″] Al contrario, sarebbe opportuno seguire proprio l’esempio di Catania per ripartire. La città etnea si è raccolta nel suo dolore senza nascondersi. Ha riconosciuto i problemi con umiltà per provare a dare una svolta. E in questi giorni si susseguono le iniziative tese a ridare allo sport la sua immagine più autentica. Un torneo giovanile ha presentato un titolo esemplare nella sua semplicità: “Meno campioni, più uomini: gioca con gli altri non contro gli altri”. La squadra di pallavolo della città ha adottato un codice etico in dieci punti in onore dell’ispettore di Polizia. E non deve essere vista come un’idea retorica o demagogica la richiesta del presidente della Figc Giancarlo Abete di intitolare il terzo tempo a Racit, Licursi e Sandri. Qualcuno, anzi, proprio in questi giorni chiede l’abolizione della stretta di mano tra giocatori a fine partita ritenendo il calcio troppo diverso dagli altri sport. Il calcio in effetti è vissuto in modo differente da tutte le altre discipline, ma non è mai troppo tardi per migliorarsi. E un esame di coscienza non ha mai fatto male a nessuno.