Se il Pap test ha cambiato la storia dei tumori ginecologici, abbattendo la mortalità femminile, ora c’è un esame che promette di fare ancora meglio. E’ il test HPV, che rileva l’infezione da papillomavirus umano, responsabile dei tumori del collo dell’utero. Rispetto al Pap test permette di intercettare il 60-70% in più di tumori invasivi, motivo per cui sempre più Regioni stanno adeguando i programmi di screening, offrendo alle donne il test virale e, in seconda battuta e quando serve, il “vecchio” Pap test.
La conferma dell’efficacia del test virale arriva da un ampia ricerca internazionale, coordinata dal Centro di Riferimento per l’Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica (CPO) in Piemonte e apparsa sulla rivista scientifica The Lancet (http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2813%2962218-7/fulltext). Lo studio, il primo a confrontare direttamente e su larga scala le due metodiche di prevenzione, ha coinvolto 175.000 donne italiane, svedesi, olandesi e inglesi fra i 20 e i 64 anni. Al termine di un’osservazione che è durata oltre sei anni, fra le donne sottoposte all’esame HPV sono stati diagnosticati meno tumori invasivi del collo dell’utero rispetto a quelle sottoposte a Pap test. Segno che il primo ha funzionato meglio del secondo.
“Già era stata dimostrata la maggiore capacità del test HPV, rispetto al Pap test, di individuare quelle lesioni che non sono ancora un tumore ma che potrebbero diventarlo. Ora abbiamo verificato direttamente che questo si traduce in una riduzione dei casi di tumore” ha commentato Guglielmo Ronco, del CPO Piemonte dell’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino. “I risultati di questo studio – hanno concluso gli autori – suggeriscono di avviare lo screening basato sul test HPV a partire dai 30 anni, con intervalli di 5 anni”. L’obiettivo non è solo erodere quelle 3.500 diagnosi di tumore cervicale che ancora si registrano ogni anno in Italia, ma alleggerire l’intero programma di prevenzione organizzata, anche a beneficio delle casse del sistema sanitario. Le donne sane, infatti, verrebbero chiamate a fare il test ogni 5 anni anzichè ogni 3, aggiungendo il Pap test solo nei casi positivi, per accertare l’eventuale presenza di lesioni precancerose solo nelle donne che hanno l’infezione da papillomavirus. Secondo le indicazioni dell’Osservatorio nazionale screening, se positive anche al Pap test, dovranno essere inviate a colposcopia.
Il Pap test, dunque non viene archiviato. Anzi, per i ginecologi resta uno strumento fondamentale e di vera prevenzione, perchè con il prelievo citologico si possono trovare lesioni pericolose e rimuoverle prima che diventino un tumore vero e proprio. Farlo precedere dal test virale, però, consentirebbe di selezionare meglio le donne a rischio, ovvero le portatrici di HPV, ed evitare alle altre esami inutili o troppo frequenti. Non serve però eseguire il test virale prima dei 30 anni, dato che l’infezione da papillomavirus è comunissima, si trasmette con i rapporti sessuali e nella gran parte dei casi regredisce spontaneamente. Le ragazze più giovani, ha spiegato Ronco, devono continuare a fare il Pap test, riservando il test HPV e altri accertamenti (come la colposcopia) all’approfondimento di situazioni dubbie.
La Regione Piemonte passerà gradualmente al nuovo schema di screening, con il test HPV come esame primario, nell’arco dei prossimi 5 anni. Disposizioni simili sono già state deliberate anche in Basilicata, Liguria, Toscana e Umbria, mentre altre Regioni e altre Asl stanno portando avanti progetti pilota.