In campo, Magic Johnson era una macchina da assist. Sapeva far tutto, ma era nello smarcare i compagni che risultava senza uguali grazie a una tecnica impeccabile e alla capacità di vedere ciò che gli altri non riuscivano vedere. Era specialista dei passaggi no look: guardava da una parte e depositava la palla nelle mani del compagno nella parte opposta. Anche fuori dal parquet riusciva a vedere dove gli altri brancolavano nel buio. Ha annunciato la sua sieropositività nel 1991: chi come me, aveva sentito la notizia in diretta, si era rassegnato ad assistere al rapido oblio di un beniamino. Lui non solo si è preso il lusso di continuare a giocare facendo parte del Dream Team, ma a 23 anni di distanza è riuscito a far regredire la malattia al punto da sorprendere gli stessi medici che lo hanno assistito. Parafrasando Gattuso, se uno nasce Magic non è che muore quadrato…
L’ultima perla la vuole regalare per il suo mondo, colpito dall’affronto portato dal proprietario dei Los Angeles Clippers, i “cugini” dei Los Angeles Lakers resi grandi da Johnson ai tempi dello show time. In un’intercettazione telefonica, Donald Sterling aveva invitato la propria fidanzata a non farsi fotografare e a non farsi vedere alle partite “con i neri”. Per una lega come l’Nba che ha fatto della libertà e della modernità il proprio marchio di fabbrica, ripiombare nel razzismo equivale a un triplo salto carpiato all’indietro. E così la risposta del commissioner è stata durissima: multa da 2,5 milioni di dollari, allontanamento definitivo dal basket e obbligo di vendere la squadra. Un rigore applaudito dagli stessi protagonisti che hanno sottolineato come non ci sia più posto nell’Nba e approvato anche dal presidente Obama.
Rimane da sciogliere il nodo sul nuovo proprietario dei Clippers che, nel frattempo, sarebbero anche impegnati nei playoff. Ecco che allora si è affacciata la pazza idea: Magic Johnson alla guida dell’altra sponda di Los Angeles a capo di una cordata che fa riferimento a Guggenheim Partners. Magic aveva sottolineato come le parole di Sterling fossero un pugno da occhio nero per il basket e aveva intimato la sua volontà di non seguire più una partita della squadra finchè ci fosse stato il vecchio patron. Ora si apre un nuovo scenario molto suggestivo: l’uomo giusto per spazzare via la nebbia ridare lucentezza a una lega che non può permettersi indecisioni. Ci voleva un assist geniale per scardinare un avversario duro a morire come il razzismo: la Nba si è rivolta al migliore in circolazione.