[oblo_image id=”1″] In campo non correva quasimai. Non ne aveva bisogno perché gli bastava essere veloce di testa.Leggeva il gioco talmente prima degli altri da consacrarsi come ildirettore d’orchestra del Barcellona che dominava in Spagna ed inEuropa negli anni ’90. Ogni azione partiva dai suoi piedi, ognicompagno lo cercava sapendo che con lui il pallone era in cassaforte.Era il punto di riferimento anche nella nazionale iberica: agli Europeidel 2000 stabilì un emblematico record toccando nella partita con laNorvegia l’astronomica cifra di 119 palloni.

Ma Josep “Pep” Guardiola èsempre stato unico anche fuori dal campo. Non si è mai nascosto dietroai soliti luoghi comuni dei calciatori ne è scivolato nelle banalitàtipiche dei suoicolleghi come “le partite sono decise dagli episodi”oppure “ la palla è tonda” e aria fritta discorrendo. Conversava con lastessa disinvoltura di politica ed attualità, di arte e storia. Quandogli chiesero un commento su Napoleone, rispose: “Nonè un modello. Con la Rivoluzione Francese provocò un’infinità di morti.Mio nonno Sebastian mi ha insegnato a rispettare gli altri sempre.Ecco, lui è un mio eroe”. Un’integrità impossibile da scalfireanche nei momenti più difficili. Quando terminò la sua avventura dacalciatore al Barcellona, la lista delle pretendenti era lunghissima.Non si scompose chiosando: “Si è chiusa un’epoca. Ma se l’alternativa è andare al Real Madrid, allora mi ritiro”.Scelse il Brescia per giocare al fianco di Roberto Baggio e insiemeregalarono la salvezza alle “rondinelle” nonostante la sorte avessevoltato le spalle alla squadra del presidente Corioni. Incappònell’antidoping risultando positivo ad un controllo dopo la gara colPiacenza. Davanti alla commissione si limitò a dire: “C’è una macchina che dice che ho fatto uso di sostanze dopanti. C’è un uomo che dice che non è vero”.Alla fine la storia gli diede ragione assolvendolo da ogni accusalasciando così immacolata un’immagine costruita in un’intera carriera.

Johann Cruyff, per tanti anni tecnico dei blaugrana,lo considerava il suo prolungamento in campo. Che Guardiola fossedestinato ad una grande carriera da allenatore era scontato. Menoprevedibile che bruciasse le tappe ripartendo subito dal Barcellona. Mail carisma non si compra né si misura dall’esperienza. E’ come laclasse: o la possiedi oppure devi rassegnarti a farne a meno. Guardiolaera convinto di essere l’uomo giusto al posto giusto: non ha traballatonemmeno dopo un inizio di stagione in salita condito da un punto nelleprime due giornate in campionato e da una figuraccia con il WislaCracovia nel turno preliminare. Ha riconquistato tutti anche dallapanchina con la stessa eleganza che esibiva in mezzo al campo. Ha vintotutto con il suo stile: toni suadenti, idee chiare e una sensibilitàinsospettabile per il mondo del calcio. Non è un caso che anche nelmomento della festa dopo aver chiuso un’esaltante tripletta con Coppadel Re, Liga e Champions si sia premurato di stringere la mano agliavversari e non abbia rifiutato un’intervista. E invece di prendersi icomplimenti, ha preferito farli. Al nostro calcio, alla nostra culturae soprattutto a Paolo Maldini. Ecco: prima ancora di invidiare Messi,E’too, Iniesta, Henry o Xavi dovremmo imparare qualcosa dal condottierodi Santpedor, capace di annichilire un maestro come Sir Alex Fergusonal primo tentativo. Perché vincere è importante, ma farlo con classe ètutto.

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