[oblo_image id=”1″] Se chiedi ad un vecchio brasiliano di Pelè, si toglie il cappello in segno di gratitudine. Se gli nomini Garrincha, abbassa gli occhi e si mette a piangere. Basta quest’aforisma per capire cosa rappresenta Garrincha per un Paese intero: il figlio amato, abbandonato e rimpianto; la stella più luminosa caduta troppo presto. Garrincha è stata la più forte ala destra della storia del calcio. Aveva una gamba più corta dell’altra come ricordo della poliomielite che lo aveva colpito da bambino. Faceva una finta, sempre la stessa ed era sempre vincente. Campione del mondo nel ’58 e nel ’62 lo soprannominarono Alegria do Povo, Allegria del popolo, perché il suo danzare in campo era ancora più divertente e spettacolare di Pelè. Dopo quei trionfi si eclissò: vittima delle sue angosce infantili, abbandonato dalla stessa gente che lo aveva osannato. E’ morto nel 1983 consumato dall’alcool. Roso dai rimorsi, il Brasile ha cercato per anni un erede e pensava di averlo trovato con Denilson. A vent’anni era considerato il talento più puro di un’intera generazione, ai mondiali di Francia del ‘98 incantò con piroette e ghirigori. Andò al Betis Siviglia per una cifra record: doveva essere il prologo di una carriera folgorante in Europa. E’ stato l’inizio del declino. Accantonato dalla Nazionale, scaricato dalla squadra di club. Prestazioni sempre incolori, il sorriso scomparso dal suo volto. Ancora un anno in panchina al Bordeaux e poi nel 2005 il passaggio ad una squadra araba. Una scelta comune per un calciatore a fine carriera alla ricerca dei petroldollari, una soluzione meno comprensibile per chi di anni ne aveva appena 28. Ed infatti la nostalgia prevale e la saudade lo spinge a rientrare in patria. Ma non è più il funambolo tutto finte e dribbling in un fazzoletto. Il Palmeiras lo silura, deve accontentarsi dell’ Itumbiara, una squadra di serie C del campionato carioca. E anche lì non sa più fare la differenza. Ha passato gli ultimi tre mesi sabbatici alla ricerca di un club disposto ad accoglierlo. L’unica offerta è arrivata dallo Xi Mang Hai Phong, compagine vietnamita. Denilson ha accettato dichiarando di trovarsi davanti all’ultima sfida della sua carriera. Ma ha anche ammesso di non sapere assolutamente nulla di cosa sia il calcio a quelle latitudini: non può scartare la proposta semplicemente perché non ne sono arrivate altre. Ha 31 anni ma ne dimostra quaranta. La carriera è andata, la fama si è dissolta con la stessa leggerezza delle finte con cui aveva deliziato gli appassionati con la maglia del Brasile. Servirebbe un ultimo dribbling per evitare il finale triste di un film già visto. Sperando che la storia di Garrincha abbia insegnato qualcosa.