[oblo_image id=”1″] Quando nello sport vince il più forte, giustizia è fatta. E Ivan Basso al Giro d’Italia 2010 era nettamente il più forte. Nella passerella finale di Verona si è limitato a raccogliere l’ovazione dell’Arena lasciando il successo di tappa a Gustav Larsson. Il capolavoro lo aveva già costruito sulle salite più dure, quelle che hanno reso leggendario il ciclismo. Imprendibile sullo Zoncolan, mattatore sul Mortirolo, sempre lucido nel controllare la gara nei 3.500km dicontorno. Ha dominato con la classe con cui si era fatto conoscere al mondo del ciclismo: pacato, minimalista, quasi un antipersonaggio. Il suo dramma lo ha superato con allenamenti e silenzi.

Basso è la dimostrazione che dal tunnel del doping si può uscire redenti, ripuliti. Pagando, soffrendo (due anni di stop non si dimenticano) ma sempre assumendosi le proprie responsabilità. Aveva promesso che sarebbe tornato più forte di prima, aveva garantito che le sue prestazioni erano frutto di talento e sudore. E’ stato di parola e a distanza di quattro anni è tornato a vestire di rosa.

Gli avversari? Agli stranieri sono mancate le gambe: Vinoukorov ed Evans non avevano la cadenza giusta quando la strada si impennava, Sastre era cotto, Arroyo – secondo sul podio finale – ha avuto coraggio e testa ma non è mai stato un fuoriclasse e non poteva diventarlo dopo i trent’anni. Gli italiani? Scarponi ha chiuso quarto confermandosi scalatore indomito, Nibali è il talento su cui affidare le speranze tricolori per le grandi corse a tappe del futuro, mentre Cunego sembra sempre alla ricerca di se stesso. Sembrava che l’Aquila avesse sancito la grande beffa, con il gruppo colpevole di lasciar arrivare i fuggitivi con oltre tredici minuti, ma è bastato che la Liquigas prendesse in mano il controllo delle operazioni per ristabilire i valori reali. E così Basso ha coronato il suo sogno rosa. Era il più forte, la domanda è se lo sarà anche al Tour. Contador ed Armstrong permettendo.

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