[oblo_image id=”1″] Una vittoria come consacrazione. Non ci sono più dubbi: ora il re dei velocisti è Mark Cavendish, britannico di appena 24 anni. La tappa di Camaiore ha sancito una sorta di passaggio di consegne. Il vecchio re Alessandro Petacchi non ha dimessamente abdicato, ha lottato per difendere il trono con l’orgoglio di un sovrano indomito. Ma è stato usurpato. La freccia della Columbia lo ha folgorato con facilità che appartiene ai grandi. Perchè a parole il compito di uno sprinter è semplicissimo. Deve rimanere coperto nella pancia del gruppo. Il lavoro sporco spetta ai compagni: sono loro a dover rintuzzare i tentativi di fuga, portare le borracce, scortare il capitano. Ma nel ciclismo non esistono regali. La protezione per gran parte della tappa si paga con un sovraccarico di aspettative. Negli ultimi trecento metri si gioca tutto. Non ha alibi o attenuanti. Sa che se non vince vanifica gli sforzi di una giornata, non porta a casa i premi, delude ammiraglia e sponsor. Cavendish non è abituato a fallire e anche stavolta non perdona. Inizia la volata in testa e si presenta a braccia alzate al traguardo. Gli avversari si perdono sullo sfondo, si possono azzuffare per prenderne la ruota senza avere la speranza di superarlo. Tre a due nei duelli con Petacchi, un’incoronazione in piena regola. Poco importa se abbandonerà il Giro anzitempo, ha già interpretato il suo ruolo da protagonista senza sbavature. L’anno scorso si fece apprezzare con due successi a cui va aggiunta una chicca da ciclismo d’altri tempi. Nell’ultimo arrivo dedicato ai velocisti, lasciò il successo al compagno di squadra Andrè Greispel pur potendolo scavalcare agevolmente. Adesso si gode lo scettro. Troppo presto per dire se il suo regno sarà longevo come quello dei predecessori Cipollini e Petacchi. Per il momento basta indossare la corona. E vedere lo strano effetto che fa…

Advertisement