E’ uscito Moratti, dopo diciotto anni. Saluterà presto anche Galliani, dopo ventotto. E’ subentrato un ricchissimo indonesiano, aprendo la strada ad altri investitori (dicono), e si sta facendo largo a spallate la giovane Berlusconi. Noi gli investiti; meglio: i disinvestiti. E’ un mondo che cambia, un sistema che salta, e credo che molti di noi siano impreparati al nuovo. Sono però convinto che stia succedendo qualcosa di positivo per il calcio italiano, non foss’altro perché era (è) giunto al capolinea: finiti da un pezzo i soldi, mai sviluppate idee sostenibili, stabilizzati i potentati, aumentata la distanza tra il campo e l’appassionato. Per anni Moratti s’è ribellato con risorse e passione al ruolo di perdente di successo e – aspetto singolare – quando ha cominciato a stravincere ha capito per primo che stava avvicinandosi la fine. Galliani, invece, è stato il mezzo col quale decine di presidenti hanno potuto sopravvivere alle crisi che essi stessi avevano prodotto e continuamente alimentato: lui l’uomo che sapeva sussurrare alle pay, unico e ascoltato ambasciatore di uno Stato tecnicamente fallito. Non so se qualcuno li rimpiangerà: so però che la “natura” sta facendo il suo complicatissimo corso e che soltanto attraverso un cambiamento radicale il calcio italiano aveva e ha qualche possibilità di riprendersi. Sono molto curioso di vedere come si muoverà da qui in avanti Andrea Agnelli, il primo beneficiario della “rivoluzione bianca”: in questi anni si è compiutamente formato, ha imparato a vincere e conosce i metodi e le fragilità dei suoi colleghi. Dovrà soltanto guardarsi da Della Valle e de Laurentiis cercando di controllare Lotito. A meno che proprio Thohir e BB non decidano di riempire immediatamente il vuoto lasciato dai loro predecessori.

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