[oblo_image id=”1″] Meglio soli che male accompagnati. Deve essere stato un pensiero ricorrente nelle prime due settimane del Tour per Alberto Contador. Perchè essere il più forte del gruppo può non bastare se i nemici si nascondono (e neanche troppo) all’interno della tua squadra. Lo spagnolo vive da separato in casa: non mangia con i compagni, limita al minimo il dialogo, diffida di tutto e tutti. Non è un mistero infatti che l’Astana preferisca Lance Armstrong: a 38 comprensibilmente non più travolgente come ai tempi d’oro ma ancora tremendament potente nel gruppo. Una situazione da incubo per molti, non per un fuoriclasse. Contador ha assorbito le frecciate del texano, gli sgarbi del direttore sportivo, i silenzi dei compagni. E nel primo vero arrivo in salita, ha sfogato sui pedali tutta la rabbia accumulata. Sulla rampa che conduceva i corridori a Verbier si è potuto liberare di ogni remora. Nel ciclismo si possono preparare tattiche, manovre, alleanze trasversali. Ma non si può fare nulla quando sulla salita decisiva scatta il numero uno. Quella di Contador è stata una rasoiata, un colpo di sciabola, un guizzo degno del miglior Pantani. Una cavalcata trionfale lunga 6 km mentre gli avversari si dissolvevano alle sue spalle. Ridotti a comprimari Schleck, Evans, Sastre e soprattutto Armstrong. Gli italiani? Coriaceo Vincenzo Nibali – l’unico dei nostri giovani adatto alle corse a tappe – che ha chiuso al terzo posto, orgoglioso Rinaldo Nocentini, che ha ceduto dopo otto giorni la maglia gialla. Il Tour è nelle mani di Contador: gli avversari non hanno la forza per sgretolare le certezze di questo spagnolo così atipico, silenzioso, indistruttibile. A meno che l’Astana non voglia farsi del male riconoscendo apertamente figli e figliastri. In ogni caso, il leader scelto dalla strada non ha paura della solitudine: può proseguire la sua fuga sino a Parigi.

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