[oblo_image id=”1″] Giancarlo Abete chiede certezze: “Vogliamo partire per il Sudafrica avendo già le idee chiare sulla conduzione tecnica della nazionale e sugli sviluppi del post mondiale“. Questo a parole. Perchè al di là delle dichiarazioni ufficiali, l’attuale presidente della Figc – lo stesso che durante Calciopoli emulando le scimmiette non vedeva, non sentiva e non parlava – sa già che Marcello Lippi è pronto a passare il testimone per accettare un incarico dirigenziale, probabilmente alla Juventus. E’ vero che sbagliando s’impara e fa onore all’attuale capo del nostro calcio riconoscere l’errore di aver mandato allo sbaraglio Roberto Donadoni agli ultimi Europei, con una panchina già traballante e la stampa in attesa dell’esecuzione pubblica. Ma oggi come allora, il tira e molla sul tecnico appare stucchevole. Abete sa di dover cercare un nuovo allenatore ma non vuole passare alla storia come il presidente che ha allontanato il ct campione del mondo e quindi preferisce muoversi con circospezione attendendo che sia lo stesso Lippi ad uscire allo scoperto. Non è un caso che abbia aggiunto un diplomatico “c’è tempo” per non sbilanciarsi troppo sulla scelta del successore. Dato che ai mondiali mancano poco più di sei mesi, non è invece escluso che siano già cominciati i primi sondaggi sui possibili candidati.

Il tecnico viareggino sa cosa fare del proprio futuro, ma non può dirlo. I suoi addii non sono mai stati sorprendenti. Nelle due esperienze alla Juve aveva sempre annunciato la fine dell’avventura con largo anticipo. E anche prima della favola di Berlino aveva seguito la stessa strategia. Sfrutta le tensioni e le polemiche per caricare l’ambiente: fare quadrato con il “suo” gruppo senza disdegnare di apparire antipatico all’esterno per creare quella rabbia fondamentale quando si gioca tutto in 90 minuti. Forse però anche quest’atteggiamento rischia alla lunga di stancare. Per quello che ha fatto e soprattutto per quello che ha vinto, ci sara sempre gratitudine nei suoi confronti. Ma rimane il fatto che la Nazionale non è solo sua. Trattarla come un balocco da prendere e lasciare a proprio piacimento è pericoloso. Il giocattolo rischia di rompersi.

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