Sette artisti internazionali trasformano lo storico palazzo veronese in un laboratorio dove biotecnologie, intelligenza artificiale e nuove estetiche ridefiniscono l’idea stessa di umanità. La mostra, visitabile fino al 9 novembre, interroga con urgenza il futuro della nostra specie.
Le tecnologie non sono più semplici strumenti nelle nostre mani. Sono diventate infrastrutture che plasmano il nostro modo di esistere, di immaginare, di definire ciò che siamo. In questo scenario radicalmente mutato, Verona ospita un esperimento culturale che mette al centro la domanda più antica e più attuale: che cosa significa essere umani?
Un palazzo storico si apre al futuro
Palazzo del Capitanio, nel cuore di Piazza dei Signori, riapre eccezionalmente le sue porte per accogliere TOMORROWS – Folding, Flexing and Expanding. L’inaugurazione, celebrata venerdì 10 ottobre con la performance musicale di DJ Python, ha segnato l’inizio di un percorso espositivo che attraversa oltre quarant’anni di riflessione artistica sul corpo come territorio di trasformazione.
La mostra, promossa da Fondazione Cariverona con Urbs Picta e curata da Jessica Bianchera e Domenico Quaranta, rappresenta il terzo capitolo del progetto TOMORROWS. Dopo aver indagato il futuro della Terra e il rapporto tra elemento liquido e terraferma, questa edizione si concentra sulle metamorfosi corporee nell’epoca delle biotecnologie e dell’intelligenza artificiale.
Quando la diversità diventa principio generativo
Il corpo umano come lo conosciamo sta cambiando forma. Le opere esposte non si limitano a documentare questa trasformazione: la anticipano, la provocano, la interrogano. Sette artisti internazionali – Apparatus 22, Mit Borrás, Zach Blas, Heather Dewey-Hagborg, Shu Lea Cheang, Copper Frances Giloth e Michele Gabriele – propongono visioni radicali dove l’ibridazione non rappresenta una deviazione, ma una possibilità generativa.
Bastoni protesici pelle elastico mattoni acrilico pellicola di plastica LED
160x170cm
Courtesy gli Artisti
La riflessione parte da un presupposto chiaro: il corpo non è più un dato naturale immutabile. È diventato un dispositivo immaginativo e politico, costantemente riscritto dalle tecnologie, dalle estetiche e dalle narrazioni culturali che lo attraversano. Questa prospettiva emerge con particolare forza nelle prime sale, dove Apparatus 22 presenta il ciclo Arrangements & Haze series.
Tre grandi superfici di pelle trattata – V1, V2, V4 – portano incise visioni di corpi liberati dalla forma umanoide, capaci di resistere a catastrofi planetarie. Il collettivo rumeno definisce questo approccio “hardcore minimalism”: testi radicali inscritti su materiali organici che evocano scenari di estrema ergonomia e sopravvivenza oltre i limiti conosciuti. Accanto a queste, Quantum Machine 1 intreccia ricerca tecnologica e sensibilità epidermica, immaginando dispositivi ibridi dotati di una forma inedita di empatia meccanica.
Corpi ibridi tra natura e tecnologia
Nella stessa sala dialoga con queste visioni l’anteprima internazionale di CORE, nuova opera video di Mit Borrás dal ciclo Adaptasi Cycle. L’artista spagnola concepisce il corpo come rete di adattamento, punto d’incontro tra ecospiritualità e biotecnologia. Il video costruisce un’esperienza meditativa che attinge tanto ai linguaggi della fantascienza quanto alle forme arcaiche del mito, trasformando lo spettatore in testimone di una metamorfosi in atto.
La dimensione politica del corpo emerge con forza dirompente nel lavoro di Zach Blas. Facial Weaponization Suite ribalta il paradigma della sorveglianza digitale: maschere collettive generate da dati biometrici aggregati creano forme amorfe e irriconoscibili che sfuggono ai sistemi di riconoscimento facciale. All’ossessione contemporanea per la trasparenza, l’artista californiano oppone la forza strategica dell’opacità.
La biotecnologia incontra l’archeologia
Heather Dewey-Hagborg spinge la riflessione verso territori ancora più controversi. Hybrid: an Interspecies Opera affronta il xenotrapianto attraverso un film in cinque movimenti che intreccia archeologia, scienza e narrazione personale. L’artista statunitense documenta l’ingegneria genetica applicata ai maiali destinati a fornire organi per l’uomo, restituendo in forma operistica la complessità etica di questa pratica.
Le animazioni in CGI di Future pigs, plural completano il discorso immaginando tre possibili evoluzioni della specie suina: dal maiale gigante da macello al nano da laboratorio, fino all’inquietante esemplare dal volto umanoide. Le proiezioni sul corpo animale rivelano, per riflesso, le proiezioni sul nostro stesso futuro biologico.
Shu Lea Cheang porta questa logica di trasformazione alle estreme conseguenze. Virus Becoming narra la metamorfosi di Reiko, androide scartato che diventa entità virale attraversando le macerie elettroniche. Incontrando trans-mutanti, hacker, migranti e rifugiati, il corpo si trasforma in agente di contagio che oltrepassa binarismi di genere e logiche identitarie. La fantascienza diventa strumento per ripensare ecologia, margini sociali e convivenza post-umana.
Genealogie digitali e stereotipi persistenti
La mostra recupera anche genealogie storiche fondamentali. Copper Frances Giloth presenta Modeling the Female Body: A Survey of Computer-Generated Women, video-collage del 1988-89 che raccoglie le prime sperimentazioni di modellazione tridimensionale del corpo femminile. Questo archivio visivo svela come il corpo digitale sia stato costruito, fin dall’origine, dentro una rete di stereotipi culturali e bias di genere che informano ancora oggi le nostre estetiche tecnologiche.
Michele Gabriele chiude il percorso espositivo interrogando il linguaggio delle forme. La serie The difficulties of a form to move away from the stereotypes it evokes mette in scena assemblaggi densi e stratificati dove la corporeità cerca di sfuggire ai cliché visivi ma resta catturata dalle aspettative sociali e simboliche. Questa fragilità diventa linguaggio critico, manifestazione tangibile della difficoltà di emanciparsi dai modelli culturali dominanti.
Domenico Quaranta sottolinea come le opere riunite configurino un dispositivo discorsivo che trascende la semplice giustapposizione di linguaggi. “Emergono linee di continuità e tensioni critiche che, attraverso i decenni e i media, tracciano genealogie del corpo come forma instabile e campo di negoziazione simbolica”, spiega il curatore. “Queste traiettorie richiedono una genealogia critica che tenga conto del pensiero femminista e postumano – da Donna Haraway a Rosi Braidotti – delle riflessioni sulla disabilità e delle estetiche speculative sviluppatesi come strumenti di immaginazione politica”.
Jessica Bianchera, direttrice artistica di Interregno, il palinsesto interdisciplinare che ospita la mostra, rivendica il valore metodologico di questo approccio. “Non ci limitiamo a tematizzare le metamorfosi del corpo, le assumiamo come metodo critico e orizzonte politico”, afferma. “L’instabilità del corpo diventa risorsa per immaginare, con radicalità e urgenza, altre forme di esistenza e convivenza”.
La mostra si inserisce infatti in un progetto più ampio che per un intero anno trasformerà Verona in laboratorio di riflessione collettiva. Tre percorsi espositivi e un programma pubblico articolato – laboratori gratuiti per famiglie e scuole, incontri educativi, visite guidate – propongono di interrogare i codici estetici, i canoni sociali e le gerarchie di visibilità che hanno storicamente escluso esperienze e corpi non conformi.
Bruno Giordano, Presidente di Fondazione Cariverona, ribadisce la valenza civica del progetto. “Trasformiamo Palazzo del Capitanio in un laboratorio dove arte, scienza e tecnologia diventano strumenti per porre domande urgenti sul presente e sul futuro delle nostre comunità”, dichiara. “Investiamo nel capitale culturale e sociale del territorio perché siamo convinti che il domani si costruisce oggi, attraverso spazi dove pensare insieme e immaginare possibilità nuove”.
La mostra rimane visitabile fino al 9 novembre, da martedì a domenica dalle 10.00 alle 18.00. Un’occasione per attraversare quarant’anni di riflessione artistica sul corpo e per interrogarsi su quale forma potrà assumere l’essere umano nei decenni a venire, in un’epoca in cui la distinzione tra naturale e artificiale si fa sempre più sfumata e la diversità emerge come principio fondamentale per ripensare l’umanesimo.